Gianfranco Vissani, il celebre chef, lo ha definito “La Ferrari dei formaggi”. Ma senza un pilota d’eccezione come Edoardo Raspelli, il Bettelmatt sarebbe rimasto ai nastri di partenza. Invece, dalle baite e dagli alpeggi delle alte montagne della Val Formazza e Alpe Devero, sopra i duemila, quel prodotto d’eccellenza è sceso al piano e salito sul podio al tempo stesso. Diventando la locomotiva dei formaggi di tutta l’Ossola. “E pensare – dice oggi Edoardo Raspelli, il noto giornalista re della critica gastronomica – che io non sapevo neppure che esistesse, se qualcuno non mi avesse suggerito di scegliere l’Ossola come luogo di villeggiatura, poi diventata la mia vera patria d’adozione”. Storia degli anni Ottanta, quando Raspelli era ancora legato ad altra località di vacanze, Pievepelago, appennino modenese, dove ci andava da quando era un bambino: “In quel paese giocavo a tennis con Panatta, sì proprio lui, che poi sarebbe diventato un campione. Ma questa è un’altra storia”.
Il racconto del suo incontro con l’arte casearia ossolana si inizia, invece, quando un collega di lavoro a Rai2, il montatore Giancarlo Milano gli dice: “Ma perché non vieni su a Crodo in estate? Vedrai che roba!”. Raspelli va cercare quel nome sulla cartina e poi si fionda nella ricerca con il piglio curioso del cronista qual è. Una sorpresa, anzi un innamoramento a prima vista, di fronte a una casetta in costruzione di Arturo Lincio, che anni più tardi sarebbe diventato presidente della provincia del Verbano Cusio Ossola. Tre anni dopo Edoardo Raspelli decide di scegliere quella valle come suo “buen retiro”, moglie e figli insieme, puntando su Mozzio di Viceno. E’ qui la fucina delle idee, il punto di partenza per le incursioni gastronomiche alla scoperta dei prodotti locali. “Mi portarono su su, negli alpeggi, ad assaggiare la fontina, così mi dissero gli alpigiani. Perché allora non era noto come Bettelmatt, quel nome strano che derivava da battel (questua). Quel formaggio infatti veniva utilizzato come merce di scambio per il pagamento dei canoni d’affitto”. Una rivelazione, così come quella cena a base di spezzatino di marmotta. “Squisita, ma non scriverlo, non l’ho mai più mangiata. Però – aggiunge – non stupiamoci troppo. In queste valli i residenti non arrivano a seimila, gli ungulati censiti sono circa 3500 tra camosci, caprioli, cervi e ora anche i cinghiali. Insomma la cacciagione è tipica del territorio e per secoli è stata una fonte di sopravvivenza alimentare”.
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