*di Ivano Zoppi
“Mio figlio non lo riconosco più”. “Non riesco a comunicare con mia figlia”. “I miei ragazzi passano gran parte del tempo nelle loro camere”. In molte famiglie si respira un senso di smarrimento. Alla base c’è l’assenza di rapporto tra genitori e figli, dalla prima preadolescenza alla maggiore età. Non si tratta necessariamente di conflitti, anzi. Se una certa contrapposizione generazionale rientra in un normale percorso di crescita, buona parte dei “ragazzi di oggi”, più che ribelli, risultano apatici. Perfino fatalisti, rintanati a tal punto nel presente da non curarsi del futuro. Una pigrizia dalla quale neppure i sogni riescono a fuggire. Se negli ultimi vent’anni calciatori e soubrette hanno simboleggiato la scorciatoia ad una vita di studi o di lavoro, oggi la carriera più agognata è quella dell’influencer. Ciò detto, siamo davvero sicuri che sia una loro scelta? Quali alternative abbiamo dato a questi ragazzi?
La verità è che li abbiamo lasciati soli, connessi con il mondo, ma intrappolati nel relativismo dei social e nell’imbuto delle chat di gruppo. E noi adulti? Non siamo riusciti ad andarli a prendere, neppure quando la pandemia aveva tolto alla loro quotidianità quelle relazioni autentiche, indispensabili per lo sviluppo critico e la condivisione di valori. Una privazione che ha spinto la Generazione Z in un vortice di omologazione che espone i minori a pericoli e a condotte di cui ignorano in buona parte la gravità e, soprattutto, le conseguenze. Lo confermano le cronache, pressoché quotidiane, sulla salute dei nostri figli. Troppo tardi per poterci stupire o scandalizzare a seguito dell’inchiesta avviata dalla Procura per i minorenni dell’Aquila. Migliaia e migliaia di immagini e video con sevizie, ricatti sessuali, estorsioni e abusi su bambini condivise su Instagram e Whatsapp stanno sconvolgendo famiglie e comunità su tutto il territorio nazionale. Gli stessi vertici della Polizia postale parlano di “assuefazione all’orrore”, che abbassa la soglia critica rispetto a crimini che si consumano nella vita reale. Da due anni segnaliamo contenuti indicibili anche su Telegram, con chat di decine di migliaia di utenti, spesso minorenni, che si scambiano materiale illegale di ogni tipo. Lavoriamo in sinergia con le Forze dell’Ordine, siamo a disposizione delle procure nell’ambito di percorsi di messa alla prova dei ragazzi processati per reati consumati nella dimensione digitale, eppure la percezione della violenza online non ha prodotto ancora una presa di coscienza in grado di invertire la rotta. Le principali statistiche attestano all’82 per cento i giovani a rischio dipendenza, con circa il 22 per cento degli under 14 nella fascia più a rischio.
Noia, solitudine, frustrazione e assenza di regole sono alla base di questo fenomeno. Emergono nuovi bisogni, fragilità e paure che, se non intercettate, alimentano solitudini e distanze. Recuperare il terreno perduto non è semplice, a partire dalla consapevolezza che lo smartphone sia diventato una impareggiabile agenzia educativa. Nel bene e nel male i ragazzi apprendono il mondo attraverso lo schermo, sempre acceso, sempre disponibile, dove trovano tutto e subito. Come poter competere? Restituendo ai nostri figli il senso profondo della parola, il riconoscimento e la gestione delle proprie emozioni.
Per fare pace con la nostra umanità, dissolta in una tecnologia oltremodo pervasiva, le famiglie hanno bisogno del supporto concreto da parte delle istituzioni, a partire dalla scuola. Non basta infilare il termine cittadinanza digitale dentro un confuso programma di educazione civica. Serve entrare nel “merito” della questione. Forse in questa logica andrebbe letta la nuova dicitura del Ministero dell’Istruzione e, appunto, del merito. Un principio che parte dall’ascolto dei ragazzi e dalla valorizzazione delle buone prassi sviluppate in autonomia dai territori e dalla comunità educante. Anticorpi da condividere in percorsi e protocolli a beneficio di studenti e famiglie. Una battaglia di civiltà che vede coinvolti più ministeri: dalla delega ai Giovani, alla Famiglia e alle Politiche Sociali. Insieme a Salute e Istruzione si configura un ideale Comitato Tecnico Interministeriale per l’Educazione in supporto alla Commissione bicamerale per l’Infanzia che doterebbe tutta la società di una rete adeguata di supporto e prevenzione. Genitori, educatori e insegnanti possono tornare i custodi del benessere dei minori, con nuovi strumenti, modelli e linguaggi in grado di spezzare questo letargo di valori.
* Segretario Generale Fondazione Carolina
L’articolo sul nostro settimanale, in edicola da venerdì 4 novembre 2022 e disponibile anche online, in tutte le edizioni:
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– Edizione Sud: L’azione, l’Eco di Galliate, il Cittadino Oleggese, il Ricreo