di Pierluigi Tolardo
Enrico Letta con lo stile sobrio e serio che anche gli oppositori interni ed esterni al Pd gli riconoscono, si è preso le responsabilità della sconfitta, peraltro annunciata e prevista e ora dovrà portare il partito ad un congresso che si annuncia cruciale. Delle due cose che l’attuale segretario si prefiggeva quando è tornato dalla Francia una l’ha mancata: far vincere il Pd con una larga politica di alleanze.
È stato in grado di farlo solo in occasione delle elezioni comunali dei grandi centri da Torino a Milano, da Roma a Napoli. Nelle città il Pd aveva vinto a volte spesso da solo grazie al buon radicamento del Pd sul territorio e un ceto di amministratori, alcuni dei quali realmente esperti e capaci. Altre volte ha vinto grazie al doppio turno e al doppio forno: alleanze con i 5 Stelle o con Calenda/Renzi se non con tutti e due. Per le politiche è andata diversamente per legge (doppio turno) e per scelta (il cartello elettorale).
Giunge anche al secondo traguardo, tenere unito il Pd, ma solo in via temporanea. Sotto la guida di Letta nel ruolo super partes il Partito Democratico dovrà infatti passare per il Congresso che si terrà da qui alla prossima primavera, passando per una rigenerazione profonda. Nel frattempo, dovrà affrontare le scadenze delle Regionali nel Lazio e in Lombardia. Come dire che c’è tutto il tempo e tutta la possibilità di bruciare ogni singola candidatura che si presenterà per la poltrona di chi guida il partito.
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