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Risicoltori nella tempesta tra siccità e caro energia

Le mondine di una volta non ci sono più ma il lavoro in risaia è sempre duro tanto quanto quello di allora. Tanto più in stagioni come questa dove l’acqua ovunque scarseggia e, nella peggiore delle ipotesi, addirittura viene a mancare del tutto. Ogni santo giorno dieci, finanche dodici ore, di sudato impegno. Con la prospettiva, nemmeno tanto remota, di terminare l’estate con un raccolto pressoché nullo. «Non si riesce nemmeno più a vivere alla giornata – dice Gianpietro Pasini che con Stefano gestisce l’omonima azienda – siamo talmente stressati da tutte queste complicazioni che si fatica oltremodo a lavorare quel poco che si può. Rischiamo davvero di perdere tutto, per noi sono danni irreparabili anche in prospettiva futura. Un’annata come questa mette a rischio anche la prossima e le successive. La risaia tenuta così a lungo in secca genera problematiche gravi che ci vorranno anni per ristabilire l’habitat naturale precedente. Questa non ci voleva proprio. Arriviamo da due anni di pandemia, con rincari di ogni tipo, partendo dai concimi che sono più che triplicati, che ci hanno letteralmente messo in ginocchio. La campagna ha sete, dobbiamo darle da bere». La semina, la maturazione e il raccolto. Scanditi dal lento passare del tempo, che non ha fretta perché non ha bisogno di averne. «In un lavoro come il nostro – aggiunge Giacomo Chiò dell’azienda Battioli Paola – non si guarda mai l’orologio. Si comincia presto, si finisce tardi. Sempre così, ora dopo ora per ventiquattro ogni dì.

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Flavio Bosetti: