Sembra paradossale giungere alla conclusione del tempo pasquale in cui come dono ci è stata data la Pace del Risorto e trovarsi ancora immersi in un mondo lacerato dalla Guerra. Non solo quella tra Stati, che crea vittime innocenti e che pare non abbia ancora trovato la strada per una risoluzione, ma anche quella che viviamo dentro di noi, con il rischio sempre in agguato di preferire la chiusura nei propri interessi agli slanci verso prospettive più alte. Questo avviene anche nelle nostre famiglie, nei nostri paesi e nei nostri contesti ecclesiali. Chiusure che si manifestano attraverso una comunicazione virtuale che non è sufficiente a gettare ponti e unire l’umanità. Non siamo molto diversi da quel gruppo sparuto di discepoli che si trovavano chiusi nel Cenacolo: importante è essere in preghiera perseverante e in compagnia di Maria, la madre di Gesù. Sarà proprio necessaria una rinnovata Pentecoste affinché il cammino sinodale della Chiesa conduca tutti a sentirsi chiamati a parlare la stessa lingua, comprensibile a tutti i popoli che è il linguaggio dell’Amore. Ecco ciò che resta del Risorto sulla terra: la testimonianza di Lui, in chi sa di poter contare solo sull’esperienza dello Spirito che soffia ancora a “rinnovare la terra”. E questo deve diventare l’esperienza di ciascun cristiano affinché, anche singolarmente, possa essere “artigiano di pace”. Ma occorre umiltà per far entrare lo Spirito nelle persone e nelle varie realtà. Sì, “Vieni Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce”! Ne abbiamo bisogno.
di don Marco Barontini