«La vera ricchezza sono le persone». Questo è il grido di papa Francesco in tempo di guerra. In effetti, però, l’occasione di quel grido non è stata la guerra in Ucraina, ma un’altra ecatombe, quella dei morti sul lavoro. «La vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia. La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore», ha detto il papa all’udienza dell’Associazione nazionale dei costruttori edili, il 20 gennaio scorso.
Ea queste parole si rifà pure l’ultimo sussidio dell’ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della nostra conferenza episcopale, che ci ricorda con sgomento: «Lo scenario che abbiamo davanti è drammatico: nel 2021 sono stati 1.221 i morti (dati Inail), cui si aggiungono quelli “ignoti” perché avvenuti nelle pieghe del lavoro in nero, un ambito sommerso in cui si moltiplicano inaccettabili tragedie. Siamo di fronte a un moderno idolo che continua a pretendere un intollerabile tributo di lacrime.
Tra i settori più colpiti ci sono l’industria, i servizi, l’edilizia e l’agricoltura. Ogni evento che si verifica è una sconfitta per la società nel suo complesso, ogni incidente mortale segna una lacerazione profonda sia in chi ne subisce gli effetti diretti, come la famiglia e i colleghi di lavoro, sia nell’opinione pubblica». Forse l’idolo cui accenna il documento non è poi così moderno, perché l’avidità, la cupidigia, il guadagno a tutti i costi, anche a quelli della vita umana, della persona appunto, esiste da sempre e percorre la nostra storia. L’incidente può accadere, certo, ma può ritenersi tale solo quando si è fatto tutto il necessario perché non avvenga, cioè solo quando la persona è considerata la vera ricchezza e non solo forza lavoro; solo quando il lavoro non prevale sulla dignità del lavoratore.
Se l’unico criterio di giudizio sono io, il mio benessere, il mio tornaconto, il mio conto in banca; se sono convinto che gli altri, tutti gli altri, vogliano sempre solo fregarmi, dalla commessa all’infermiera, dal capufficio al parroco… tutti indistintamente non pensano che a sé stessi, non posso far altro che difendermi, premunirmi, salvaguardare i miei interessi. Se così fosse, lasciatemelo dire: che vita meschina! Ci ridurremmo tutti a dei “santommaso” che non si fidano di nessun altro che di sé stessi, dei propri occhi e delle proprie mani, e perderemmo di vista che la vera ricchezza sono gli altri, le persone.
Non è solo la vita da salvaguardare, da quando germoglia nel ventre materno a quando si spegne, ma è la persona in sé stessa un valore: di recente un quotidiano nazionale rievocava il “personalismo”, il recupero della nozione di persona proposto da filosofi come Emmanuel Mounier, indicandolo come una valida alternativa tra regimi autoritari e democrazie deboli (cf. Domani, 22/03/22, p. 13). Non possiamo non rallegrarcene e ricordare le parole del Siracide: «Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa di nuovo lo fece tornare. Egli assegnò loro giorni contati e un tempo definito, dando loro potere su quanto essa contiene… Stabilì con loro un’alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti… Disse loro: “Guardatevi da ogni ingiustizia!” e a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo» (Sir. 17, 1-2. 12. 14). Che questo Primo Maggio sia l’occasione per prendersi cura dell’altro, che lavora accanto a me!
don Cesare Baldi
Collaboratore della Caritas
per la Pastorale sociale