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Il 25 aprile e quella lotta di libertà da non dimenticare

La guerra  genera domande che cadono a terra facendo un rumore assordante. Le risposte si mescolano alla contabilità ridondante di morti, cannoneggiamenti, orrori e macerie. I luoghi comuni vanno in fumo. Le donne ucraine, nell’immaginario popolare, sono quelle che cercano riparo verso il confine. Poi però leggi i resoconti giornalistici e incontri donne che stanno in prima linea come medici e paramedici, impegnate nel “logistico”, per costruire trincee, con il fucile imbracciato e la mimetica indosso. Ciascuna secondo le proprie attitudini. La first lady Olena Zelenska, moglie del presidente, fa grande uso dei social per dire che “L’Ucraina è un Paese pacifico: non abbiamo attaccato ma non ci arrenderemo”.. Anastasia Lenn è stata “miss Ucraina 2015”: dalla fascia di reginetta è passata al fucile. E’ fra le maggiormente attive nella difesa del Paese.

Non da sola. Sono tantissime le donne che hanno deciso di scendere direttamente in campo. Lo scorso dicembre il Ministero della Difesa ucraino ha invitato migliaia di donne ad arruolarsi. Bastava avere fra i 18 e i 60 anni e essere in buone condizioni fisiche. C’è chi prepara pasti caldi, chi soccorre i feriti. Chi dona sangue. Chi prende con sè i figli di qualcun altro e giura di proteggerli, mentre ìl padre rimane a combattere. E chi partorisce nei rifugi antiaerei. Mentre siamo qui a elogiare l’eroismo della resistenza ucraina, con l’eccitazione tipica della retorica bellica, non dobbiamo dimenticare che la guerra, anche stavolta, passa sul corpo delle donne. Stuprate, sfregiate, umiliate, segnate. Molte già vittime di tratta. L’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina, anche lei donna Irma Venediktova, ha creato un sito per denunciare abusi e violenze dei soldati russi con prove circostanziate per avviare processi, chissà quando e chissà come.

La storia si ripete. Lo sanno bene le donne ruandesi – più di mezzo milione – violentate nel 1994 durante il genocidio dei Tutsu e degli Hutu moderati. Una barbaria che causò un boom demografico al termine della guerra, con la nascita di tanti bambini tutti concepiti dopo gli  stupri. Lo sanno le donne bosniache vittime delle violenze etniche che hanno conosciuto un barlume di verità e giustizia solo dopo decenni. Lo sanno le donne italiane di Marzabotto, stuprate dai tedeschi, le siciliane abusate dagli alleati americani e le 20 mila violentate nel 1944 dai goumiers dell’esercito francese. La guerra in Ucraina – che sentiamo più vicina – sta violentemente restituendoci una verità sotto gli occhi: il corpo femminile, nella sua concezione biologica, nella sua capacità di procreazione, che in tempi di pace diventa forza e in tempi di guerra invece debolezza, è vulnerabile. 

Quella ucraina è la storia delle donne stanche, impaurite, disperate ma non arrese. Delle donne che fanno nascere i bambini nella metropolitana sotto i bombardamenti e di quelle strette insieme, a compiere gesti apparentemente normali, nel rifugio antibombe mentre intonano con fierezza l’inno ucraino. Storie di disperazione, ma insieme di incredibile dignità: storie di donne dalle vite devastate e che, pure, non si arrendono. Una scelta di coraggio e forza estrema pari a quella necessaria per portare in salvo anziani e bambini lungo rotte pericolose, senza sapere quale sarà l’approdo. 

E che dire anche delle donne che sfidano pestaggi, arresti, vendette e che stanno manifestando contro Putin e la guerra nelle piazze russe? Voci e volti straordinari che stanno mandando un messaggio al mondo intero per dire che la difesa della libertà viene prima anche di quella della  vita. Con il coraggio delle donne sarà possibile, sulle macerie, ricostruire un futuro di pace.  

Laura Fasano

Vice direttore emerito de Il Giorno

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