Termometro dell’enogastronomia il “Vinitaly” si riprende la scena

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Termometro dell’enogastronomia il “Vinitaly” si riprende la scena
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“In vino veritas”. Mai come ora il detto latino si rivela più veriterio. Perché dal vino si può ripartire. Vinitaly, la grande manifestazione che domenica 10 aprile si aprirà a Verona dopo due anni di assenza, dovuta alla pandemia, è il termometro di una condizione socio-economica che riguarda non solo i produttori, ma anche il consumo, la socializzazione. In una parola: il nostro vivere quotidiano. I 4400 espositori provenienti da tutto il mondo ci dicono che c’è voglia di Rinascimento dopo il Covid e contro il conflitto in Ucraina. Proprio la guerra e tutto ciò che ne consegue stanno condizionando in parte il settore vitivinicolo italiano, con il blocco delle esportazioni verso la Russia. Mercato non marginale, rapporti che si sono interrotti o raffreddati anche in Piemonte, con scambi che durano da anni, interessi reciproci e investimenti di imprenditori dell’Est sulle colline del Novarese. Dire che il Vinitaly è un “peacekeeping”, che potrebbe contribuire alla pace, sarebbe troppo. Ma sicuramente la più grande assise del pianeta dedicata ai vini è un momento di distensione, se non di unificazione. Per questo bisogna esserci, non da remoto. Proprio il Piemonte, seconda regione nella classifica dell’export (prima il Veneto, terza la Toscana), sarà presente al padiglione 10 con una folta schiera di produttori provenienti dalle Langhe, dal Monferrato, dal Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte (Gattinara, Bramaterra, Fara, Ghemme, Colline Novaresi, Lessona, Boca, Coste della Sesia, Sizzano, Valli Ossolane). Una carica di 600 vignaioli che con i loro rossi e i bianchi, gli spumanti, qualche rosato e passito, attraggono i “buyers” da tutto il mondo per concludere trattative e confrontarsi. Il vigneto Italia si conferma ad altissimo livello, ha sofferto il periodo della pandemia e subisce qualche battuta d’arresto con i venti di guerra, ma nel complesso è solido. Anzi, gli ultimi dati dell’Osservatorio Vinitaly-Nielsen ci dicono che la voglia di riscatto si è già iniziata nel 2021, con alcuni spunti che fotografano una svolta anche sotto il profilo delle scelte. Il gradimento degli italiani per il vino è ai vertici, ancora più alto rispetto all’ultimo periodo pre-Covid. Lo scorso anno l’89% ha infatti bevuto vino, un dato in crescita rispetto al 2019, per effetto soprattutto di un’impennata della platea di giovani maggiorenni, ma con un approccio diverso: moderato e consapevole. Come dire: più consumi, ma meno quantità pro capite. I consumatori appartenenti alla “generazione Z” e millennials (18-41 anni) sono infatti aumentati sul piano numerico (dall’84% al 90%), ma non sulle quantità, mentre rimane invariata l’incidenza dei clienti della “generazione X” (89%, 42-57 anni) e si abbassa la quota dei baby boomers (over 57 anni), che perdono il primato della numerosità (non della frequenza al consumo) passando dal 93% al 90%. Percentuali che sotto il profilo sociologico inducono a riflessioni e fotografano un’Italia in netto cambiamento. Insomma “In vino veritas”. Il trend di crescita più marcato riguarda i consumi di prodotti mixati – principalmente gli spritz – che incontrano una penetrazione del 63% della platea (contro il 56% del 2019). Incrementano bene anche tutte le altre tipologie, con gli spumanti, i rossi e i bianchi, tutti all’81% (erano al 77%) e i rosati al 63% (il 57% nel 2019). Il vino rosso rimane lo zoccolo duro degli abitudinari con circa il 60% dei baby boomers che lo beve due o tre volte a settimana o addirittura tutti i giorni. Per il responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, «la crescita dei vini premium nella grande distribuzione, a partire dagli spumanti, è un’eredità che il Covid ci lascia e che, unita alla ripresa dei consumi fuori-casa, può condurre a un incremento nel valore di mercato del vino consumato in Italia, oggi pari a 13,8 miliardi di euro, il 7% in meno di quanto raggiunto nel 2019». * direttore di Agromagazine www.agromagazine.it