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Giornata del Malato, Brambilla: «Dal curare al prendersi cura»

L’impegno a «prendersi cura». Che è differente dal «curare»: «perché dalla malattia oggi più che mai dobbiamo spostare l’attenzione su chi è malato». Nel giorno della Festa della Madonna di Lourdes e della Giornata del Malato è questo l’appello che il vescovo Franco Giulio ha voluto riproporre con forza per affrontare questo tempo di pandemia, ma ancora di più per guardare allo sforzo di ricucitura dei legami e delle relazioni quando l’emergenza sarà finita.

Lo ha fatto durante l’omelia nella messa celebrata – ormai una tradizione decennale nell’11 febbraio – nella chiesa di san Michele Arcangelo all’ospedale, cui ha preso parte la dirigenza dell’azienda ospedaliero universitaria e diversi volontari dell’Avo.

A loro si è rivolto il parroco e responsabile diocesano della pastorale della salute don Michele Valsesia con un «grande grazie per quello che fate tutti i giorni». Un grazie rivolto anche a tutti coloro – medici, infermieri e personale – che in questi due anni sono stati in prima fila nel gestire conseguenze dirette e indirette del Covid.

«La speranza di tutti è che, con prudenza, possiamo iniziare a vederne la fine – ha detto il vescovo -. Ma dobbiamo già adesso saper guardare oltre». Pensare a quelle ferite nascoste ma che si rimargineranno con fatica. È un invito che il vescovo non si stanca di fare, soprattutto pensando alle nuove generazioni. E che nasce dalla preoccupazione di chi queste ferite le ha viste e toccate. «In questi giorni ho incontrato una famiglia con un bambina che va alle elementari. La didattica a distanza, le quarantene, l’interruzione della vita sociale hanno lasciato il segno. Ed ora si rifiuta di andare a scuola. Un’altra famiglia poi, mi ha raccontato della loro bambina che per mesi ha avuto dolori alla pancia: nessuna vera malattia, ma solo una somatizzazione dell’ansia di questi mesi».

Ecco, allora, l’invito a medici e operatori sanitari, allargato a tutti. Insieme alla cura del corpo serve un’attenzione per lo spirito. È il cuore del vangelo delle nozze di Cana: «Maria invita Gesù a intervenire per risolvere il problema del vino che è terminato. Lui si ritrae inizialmente, ma poi accetta di rispondere alla Madre». Come leggere questo gesto? «La cura di Gesù non è per la festa di nozze. Ma è per la “Festa” degli sposi: il matrimonio. Il vino nel vangelo di Giovanni ha questo significato simbolico. Il suo intervento nasce da un bisogno concreto, pratico. Ma guarda oltre, all’identità profonda delle persone che aiuta». Un’apertura ad una dimensione spirituale «che per un cristiano non è mai qualcosa di altro o di “successivo” alla cura materiale. Ma ne è presupposto e motivazione».

Questa cura «dello spirito» è ancora più importante per i malati più gravi, per i quali la malattia cambia addirittura la percezione della propria identità, costringe ad una passività cui non si è abituati, obbliga a ripensare i propri limiti. «Il dono più grande è dedicare tempo ai malati: vicinanza e ascolto. Perché davvero sia “prendersi cura”».

Andrea Gilardoni: