Importante operazione compiuta all’alba di martedì mattina 14 dicembre dagli uomini della Polizia di Stato di Novara nell’ambito di un’articolata indagine svolta sotto la direzione della Procura della Repubblica di Novara. Obiettivo della maxi operazione, frutto di un’indagine avviata diversi mesi fa, contrastare odiosi reati contro la persona e gravissime forme di sfruttamento lavorativo. Un’indagine che, come illustrato questa mattina, mercoledì 15 dicembre, in conferenza stampa dal dirigente della Squadra Mobile, Massimo Auneddu, ha permesso di scoprire lavoratori sfruttati, pagati pochissimi euro l’ora (anche meno di due euro) e costretti a vivere in condizioni igieniche precarie. Uno sfruttamento che aveva base a Novara.
Quattro le ordinanze cautelari emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Novara, nei confronti di tre cittadini pakistani, I.A., T.U. e A.A., tra i 32 e i 44 anni, con velleità imprenditoriali, ma soprattutto di un italiano, A.C., di 44 anni, ritenuto la mente del gruppo, un “colletto bianco”, con a proprio carico precedenti penali e di polizia, anche di natura societaria.
Le indagini sono partite nell’agosto dello scorso anno quando la Questura ha avviato controlli in alcune zone ad alto rischio degrado in città. Durante quegli interventi gli agenti avevano trovato alloggi in condizioni igieniche precarie e sovraffollamento in particolare in alcuni appartamenti nella zona di Sant’Agabio, quella posta nella zona del canale Quintino Sella, tra via Leonardo da Vinci e via Visconti. Molti abitanti di quegli alloggi erano cittadini pakistani, che, provati dalla condizione in cui erano assoggettati, avevano fornito i primi dettagli utili all’indagine, riferendo di svolgere attività lavorativa nel settore del volantinaggio e del pagamento di un corrispettivo in denaro per l’affitto del proprio posto letto.
Quanto emerso dalle attività accertative svolte dagli uomini della Questura è apparso di particolare gravità. Ai lavoratori veniva corrisposta una retribuzione palesemente sproporzionata alla quantità del lavoro prestato; i malcapitati erano costretti a lavorare anche per 17 ore al giorno, e retribuiti per meno di due euro all’ora, senza i più elementari presidi di protezione individuale, e costretti a dormire in condizioni di sovraffollamento e promiscuità, persino in un periodo come quello attuale caratterizzato dal rischio di diffusione epidemiologica da Covid-19 posto che, per consentire la collocazione di sufficienti posti letto nelle stanze a ciò dedicate, erano allestiti soprattutto letti matrimoniali.
Durante l’indagine la Polizia si è trovata di fronte a persone prive di mezzi alternativi di sussistenza (per sé e per i propri familiari dimoranti nel Paese d’origine) e, pertanto, in stato di bisogno oggettivo; reclutati dall’estero o da diverse zone d’Italia e condotti a Novara dove erano costretti a vivere in condizioni precarie. Da questo capoluogo venivano portati a lavorare in lontane località del Piemonte, della Valle D’Aosta, della Liguria e della Lombardia, a bordo di furgoni obsoleti e spesso fatiscenti, scaricati in vari punti delle città, e costretti, a piedi, distribuire migliaia di volantini, anche in presenza di avverse condizioni climatiche senza l’uso dei dispositivi di protezione individuale come le pettorine. Nonostante, come riferito dallo stesso Auneddu, il concetto di caporalato sia prevalentemente associato alle grave forme di sfruttamento diffuse nelle campagne del meridione, l’indagine svolta dagli uomini della Questura di Novara ha portato alla luce l’esistenza di gravissime forme di sfruttamento “in ambiente urbano” non meno rilevanti, per intensità e per dimensione, di quello delle campagne.
All’operazione ha partecipato anche la polizia locale di San Pietro Mosezzo, dove si trova la sede di una delle ditte che si occupava della gestione dei lavoratori. Nell’indagine, ancora in corso, sono stati sequestrati una serie di furgoni.