Sport e donne: alle Olimpiadi la lunga strada verso la parità

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Guai a chi dice che lo sport è solo maschile. Per credere basta leggere il palmares di Federica Pellegrini, Novella Calligaris , Valentina Vezzali, Deborah Compagnoni, Manuela Di Centa, Sara Simeoni, Carolina Kostner, Tania Cagnotto e Fiona May (e potremmo continuare ancora per un po’). Ma non è sempre stato così. Addirittura la storia delle donne alle Olimpiadi comincia con un rifiuto: Pierre De Couberten, il padre delle Olimpiadi moderne, giudicava lo sport femminile “la cosa più antiestetica che gli occhi umani potessero contemplare” e di conseguenza impedì il loro ingresso. Eppure, più di ogni altra manifestazione agonistica, i giochi olimpici hanno contribuito all’emancipazione femminile nella società.  Allora ricordiamole queste prime volte: le donne furono ammesse alle Olimpiadi di Parigi del 1909, anche se in modo non ufficiale. La prima svolta arrivò ai Giochi del 1912 a Stoccolma, quando le donne furono ammesse anche alle competizioni di nuoto. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1920 ad Anversa le atlete parteciparono per la prima volta in forma ufficiale. Fu la svolta, il vero cambiamento stimolo di molte altre conquiste. Negli anni la presenza in rosa ha continuato ad aumentare. Nei Giochi di Londra le donne hanno costituito il 45 per cento degli atleti, è stato introdotto per la prima volta il pugilato femminile, l’unica disciplina che ancora era riservata ai soli uomini. I Giochi di Londra hanno registrato un altro primato: per la prima volta tutte le Nazioni iscritte, anche quelle musulmane,  hanno presentato almeno una donna. Una rivoluzione davvero impensabile fino a pochi anni prima. Tokyo 2021 avrà un programma di Giochi femminili identico a quello maschile.  Nonostante questi innegabili progressi ancora oggi non sono pochi i casi di atlete che subiscono  o hanno subito critiche e discriminazioni. Se il lungo cammino delle donne alle Olimpiadi è stato faticoso  e partendo da una situazione di emarginazione ed esclusione si è oggi raggiunto il pieno riconoscimento dell’atletismo femminile, dobbiamo ammettere che questi riconoscimenti non sono  privi di coni d’ombra. Per esempio c’è chi continua a lamentare ghettizzazioni per il fatto che in alcune discipline ci sono più gare per uomini che per donne e di conseguenza il numero di medaglie assegnate ai maschi è superiore a quello destinato alle donne. Ma siamo sicuri che l’eguaglianza numerica sia il miglior parametro per valutare i rapporti fra uomini e donne? Siamo sicuri che ogni differenza sia motivata da discriminazione? Esistono altre voci che reclamano l’abolizione completa  delle “discriminazioni di genere” nelle competizioni, pretendendo che maschi e femmine competano nelle stesse gare, eliminando ogni distinzione di sesso fra i concorrenti. Una tale idea per il momento non sembra riscuotere molti consensi, poiché i fatti mostrano l’assurdità di una tale pretesa. Altri esperti auspicano che anche lo sport riconosca “una specificità della struttura organica femminile “ che porta a risultati eccellenti in quelle discipline dove vengono privilegiati “non già la forza e la potenza muscolare, ma la resistenza, la flessibilità e l’agilità”. Per comprendere quest’idea basta notare le differenze tra gare maschili e femminili in discipline come la ginnastica o i tuffi. Nel panorama sportivo attuale, sia come sia, le vittorie delle donne – fortunatamente – non sconvolgono più di tanto.  Meglio, il trionfo (e nei prossimi giorni ne aspettiamo tanti) non porta i media e l’ambiente a fare un passo indietro  e a riavvolgere il nastro verso differenze di genere del passato. Anzi proprio la storia delle Olimpiadi rappresenta uno spunto per comprendere quanto  lo sport abbia contribuito all’emancipazione femminile nella società. E quanto i Giochi abbiano aiutato le donne a valorizzarsi, a farsi valere e a migliorarsi. Un concetto da tenere a mente sempre. Per le manifestazioni sportive attuali e in vista del futuro. E questa battaglia non appartiene solo alle sportive: anche noi spettatori siamo chiamati ad agire e al ribellarci al maschilismo sportivo, affinché la parità di genere, quando sarà conquistata completamente sul campo di gioco, possa affermarsi e prendere il proprio spazio anche nella vita di tutti.

Laura Fasano

vicedirettrice emerita de Il Giorno