Una Novara sommersa, i cui abitanti trovano riparo nei vagoni di un treno o in edifici fatiscenti, dai locali dell’ex Centro sociale a qualche fabbrica dismessa. O, come è capitato a S. Agabio, nei garage di una casa popolare, dove abitava, sino a qualche tempo fa, il padre di due figli adulti. È la Novara degli ‘invisibili’, di persone che, senza casa e in serie difficoltà, spesso con alle spalle storie drammatiche, fatte di abbandoni e dipendenze, tendono a restare nell’anonimato senza chiedere aiuto. Persone che, come riferisce Daniela Sironi, responsabile della Comunità di S. Egidio, «vanno cercate, ascoltate e capite, con anche un approccio terapeutico».
Per don Dino Campiotti, già direttore Caritas diocesana e presidente Cooperativa Emmaus, che gestisce il dormitorio all’ex campo Tav, due le soluzioni: un censimento degli «’invisibili’, certo difficile, ma da fare. E l’individuazione di nuovi spazi per altri posti dove accogliere queste persone». Un approccio meno burocratico e che sappia ascoltare. «Occorre – prosegue Sironi – una presa in carico più vicina, più efficace e meno burocratica».
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