Il titolo è impegnativo e attualissimo: “Rilanciamo l’Italia”. Ma come? Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, “regina della plastica verde” e fra i più convinti sostenitori dell’economia circolare, ha la risposta pronta: “Mettere al centro la qualità del suolo. Meglio ancora: la rigenerazione del suolo”. Non è soltanto un’operazione economica, ma prioritaria per dare una svolta al nostro Paese, per ripartire da un atteggiamento culturale che collochi sul piedistallo la persona, attraverso la salvaguardia dell’ambiente e la “food security”. Perché – dice Catia – nel giro di poco tempo (non ce ne renderemo neppure conto) proprio l’Italia potrebbe svegliarsi una mattina e accorgersi di non avere più risorse alimentari. Azzardato? Ascoltare per credere. La manager novarese di origine umbra ne parla in un seminario organizzato da Ortygia Business School, dove ci si interroga sul post-Covid, le conseguenze, le correlazioni con l’ambiente. I segnali ci sono tutti, Catia Bastioli con il suo staff del centro ricerche di Novara li ha colti da tempo e sta spingendo affinché una rivoluzione culturale contagi opinione pubblica e politici più di quanto abbia fatto il Coronavirus. Ripartire dalla terra, bassa fin che si vuole, ma alzare lo sguardo per fare dell’agricoltura il trampolino verso traguardi che cambino il nostro modo di vivere. E la pandemia può offrirci lo spunto per ripensare il modello a lungo praticato, imperniato sullo sfruttamento dei suoli che oggi rischiano di non produrre più nulla. Questo rischio Catia Bastioli lo aveva intravisto molti anni fa, quando decise con un gruppo di coraggiosi ricercatori di concentrare risorse e energie sulla cosiddetta plastica verde, ricavando dall’amido di mais il Mater-B, diventato materia prima per realizzare la bioplastica oggi utilizzata per il controllo delle infestanti attraverso pacciamature nei campi e gli shopper della spesa. Un salto culturale, nel tentativo di allineare l’Italia ai livelli più “green” di altri Paesi europei. Così è stato messo in moto un ciclo virtuoso che parte da Madre Terra, arriva all’uomo, viene riutilizzato tornando al punto di partenza come rifiuto organico biodegradabile. Una rivoluzione, appunto, che privilegia il consumo etico e abbatte la politica dello scarto, dal cibo ai rifiuti, nel senso dello spreco. Le intuizioni di Catia, partite da Novara, si sono diffuse in Italia e in Europa, metabolizzate dal mondo agricolo: teli di pacciamatura Mater-Bi per il contenimento delle infestanti nelle risaie novaresi, bio-erbicidi di origine naturale nei vigneti del Prosecco Docg di Valdobbiadene sono soltanto alcuni esempi. “Il Coronavirus – aggiunge Catia – dovrebbe essere lo spartiacque per cambiare rotta. Ci salverà l’agricoltura sostenibile. Nella pianura padana il suolo, trattato con erbicidi, antiparassitari, fertilizzanti chimici, si sta desertificando, ha perso materia organica. Sapete che per creare 10 centimetri di suolo produttivo servono almeno duemila anni? Basterebbero queste cifre per farci riflettere. Le alternative esistono. In questi ultimi anni Novamont ha rigenerato terreni aridi in più parti d’Italia, siamo intervenuti in cinque siti deindustrializzati. A Porto Torres, in Sardegna, abbiamo rigenerato un’area attraverso la coltivazione del cardo, dal quale poi vengono estratti oli e biomasse che rispondono alle esigenze della bioraffineria”. Ma molte altre sono le opportunità: girasoli coltivati in Umbria attraverso un accordo con Coldiretti, per alimentare la produzione di bioplastica nello stabilimento di Terni. In Sicilia si punta sull’utilizzo delle arance. “Non partiamo dalle crisi, ma dalle opportunità offerte dai territori, sviluppando filiere. E a proposito di opportunità, sarebbe un delitto buttare la materia organica, trasformiamo i rifiuti in occasioni preziose. Dal 2023 tutta l’Unione Europea non dovrà più smaltire rifiuti organici in discarica, ma prendersene cura. Il by waste ci cambierà il modo di vivere. Dobbiamo ripensare l’agricoltura non come estrattiva, ma riconoscere il valore della rigenerazione del suolo”. Quali le correlazioni dirette tra il Covid-19 e l’ambiente deteriorato? Qui la ricercatrice-manager non lesina approfondimenti: “Gli animali non devono più essere alimentati con antibiotici. Ci sono sostanze nuove da utilizzare per evitare che noi poi subiamo altri problemi tipo la pandemia che abbiamo vissuto perché magari siamo diventati resistenti agli antibiotici a causa di quella quantità utilizzati negli allevamenti. E poi gli erbicidi: non più glifosate, noi siamo in grado di produrre sostituti”.
direttore di Agromagazine www.agromagazine.it