Marco Ticozzi, segretario generale della Fiom Cgil di Novara e del Vco, non nasconde le preoccupazioni per il futuro del comparto metalmeccanico.
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Il settore, dopo il rallentamento iniziale a seguito della pandemia, è stato costretto a un brusco stop. Come testimoniano i dati: «Finora abbiamo registrato 594 richieste di cassa integrazione da parte delle aziende per 17.783 lavoratori, delle quali 356 sono al di sotto dei 15 dipendenti e hanno complessivamente 2.200 addetti, mentre le restanti 241 con più di 15 dipendenti hanno oltre 15mila, sono quelle più grandi a fare la differenza». E queste sono quelle ufficialmente contabilizzate, ma i dati complessivi potrebbero essere ancora più alti, perché le aziende non hanno più l’obbligo di mandare le comunicazioni ai sindacati. Di questi quasi 18mila lavoratori in cassa integrazione, una parte ha ripreso parzialmente l’attività ma in molti sono ancora a casa. venerdì 1 maggio 2020 5 «Una serie di aziende ha già ripreso parzialmente l’attività con l’invio delle autocertificazioni alle prefetture. Dove abbiamo la possibilità, effettuiamo le verifiche che vengano rispettate le norme di sicurezza su mascherine, distanziamenti e sanificazione. Ci sono molti elementi di preoccupazione, perché il virus è ancora molto forte, e con la ripresa in contemporanea e in modo molto forte delle attività produttive, la gente tornerà a spostarsi in modo massiccio e ciò rappresenta un elemento di rischio molto forte» sottolinea Ticozzi. «Bisognerà vedere come le aziende affronteranno i problemi: l’impatto delle misure sarà pesante da un punto di vista organizzativo, con lo slittamento degli orari di entrate e uscita, la turnificazione nelle mense, negli spogliatoi e altri spazi comuni per evitare assembramenti. Sono tante le cose da affrontare, e da un punto di vista tecnico non sarà facile» aggiunge il segretario della Fiom. Dove l’organizzazione sindacale è già presente, generalmente ci sono rapporti consolidati con le aziende e sono stati, quindi, avviati tavoli di verifica, ma Ticozzi sottolinea che in questo caso la posta in gioco è alta: «qui non si tratta del rinnovo di un contratto nazionale, qui si parla di morti e anche tanti. Per le aziende non è semplice con questo nuovo protocollo che prevede la rilevazione delle temperatura corporea dei lavoratori e tutte le altre misure per la sicurezza e le mascherine chirurgiche non danno comunque una protezione totale dal virus. La preoccupazione è soprattutto per tutte quelle aziende in cui non c’è presenza sindacale e quindi è tutto affidato alla coscienza dei datori di lavoro».