A maggio arrivavano le mondine. Un esercito di 300-350 mila lavoratrici che si riversava nella risaia piemontese e lombarda. Dal Veneto, dall’Emilia. Natalia Bobba, alla guida di un’azienda agricola a Vinzaglio, ricorda appena le ultime. Era una bambina. Oggi è presidente dell’associazione “Donne & Riso”, sodalizio che riunisce imprenditrici e operatrici di Vercelli e Novara, un’ottantina di donne impegnate nella promozione del cereale più consumato del pianeta. Lontani quegli anni di lotta e lavoro in risaia al canto di “La mattina appena alzata…” che riecheggia o precede (gli storici sono divisi) il più noto “O bella ciao”. Perché la tecnologia ha ridotto l’esigenza del lavoro manuale e bracciantile in risaia e in tutti i settori agricoli. Tuttavia droni, satelliti, gps, robot, in sostanza l’agricoltura 4.0, non sono ancora riusciti a soppiantare antiche risorse senza le quali sarebbe impossibile assicurare il cibo. Il Covid-19 ha messo drammaticamente a nudo questa necessità. Stefano Vercelloni di Sizzano, vicepresidente nazionale delle Città del Vino, in questi giorni ha diffuso lo slogan e il logo stilizzato di un raccoglitore di frutta e verdura che sorregge una cassetta colma con la scritta: “Oggi sappiamo che possiamo esistere senza calciatori…ma non senza agricoltori”. E neppure senza la manualità. Confagricoltura, Coldiretti e Cia, i tre principali sindacati, hanno lanciato un accorato appello che coinvolge anche il Governo e in prima battuta la ministra delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova: in Italia servirebbero, subito, almeno 250 mila lavoratori per raccogliere frutta e verdura, viceversa si stima una perdita del 40% del prodotto che finirebbe per marcire in campo, con il rischio di trovarsi presto senza cibo in tavola o di importarlo a prezzi maggiorati. Il fabbisogno non è solo italiano: si calcola che in tutta Europa, da maggio a settembre-ottobre, l’esercito di lavoratori stranieri impiegati nei campi ammonti a 750 mila unità. Quasi tutti provenienti dall’Est Europa, ma anche dall’Africa. Per quanto riguarda il Piemonte soltanto in provincia di Cuneo, capitale della coltivazione della frutta e punto di riferimento dell’enologia, sono necessari almeno 20 mila stranieri da qui all’autunno. Una cifra che sino allo scorso anno era sufficiente e veniva colmata grazie soprattutto all’arrivo di lavoratori macedoni, romeni e altri di origine africana, già in Italia, provenienti dal Meridione. Il Coronavirus ha cambiato tutto. Migliaia di quei potenziali lavoratori, in particolare quelli dell’Est europeo, se si trovavano in Italia allo scoppiare della pandemia si sono affrettati a ritornare nei Paesi d’origine prima della chiusura delle frontiere. La ministra Bellanova è intervenuta prolungando i permessi di soggiorno in scadenza e ha aperto un “corridoio verde” con la Romania, ma continua a non bastare. Per questo si pensa anche aldi Gianfranco Quaglia* AGRICOLTURA l’impiego di manodopera di casa nostra, all’insegna del “prima gli italiani” evocato da alcuni, pensando a cassaintegrati, fruitori del reddito di cittadinanza, coloro che hanno perso il lavoro. Confagricoltura e Coldiretti hanno lanciato, rispettivamente, Agrijob e Jobincountry, due piattaforme che puntano a mettere in contatto domanda e offerta per recuperare quelle braccia sottratte all’agricoltura dal Coronavirus. La Cia, a sua volta, ha organizzato un portale al quale si possono inoltrare le domande: https://lavoraconagricoltoriitaliani.cia.it. Non era mai accaduto prima. Queste attività di intermediazione hanno già smosso qualcosa, 6-7 mila persone. Finora una goccia nel mare delle necessità. Interessante la tipologia d’appartenenza di chi ha sin qui risposto: studenti universitari, pensionati, cassaintegrati, operai, blogger, responsavenerdì 1 maggio 2020 13 bili marketing, laureati in storia dell’arte, addetti al settore turistico. Il 60 per cento ha fra i 20 e i 30 anni, il 30% tra i 40 e i 60, il 10% ultrasessantenne. Sara Baudo, presidente di Coldiretti Novara e Verbano Cusio Ossola: “Le nostre aziende hanno bisogno di manodopera per raccolta di verdura e primizie, frutta, come le pesche in giugno e luglio e i kiwi in autunno. Per non parlare della monda del riso da seme per la quale occorre personale qualificato. Senza dimenticare la vendemmia. Ma non va dimenticato il bisogno di introdurre al più presto i voucher semplificati in agricoltura e di continuare a lavorare anche le ambasciate per favorire l’arrivo di lavoratori stranieri. Molti di loro nel tempo hanno acquisito esperienza e professionalità”. * direttore di Agromagazine www.agromagazine.it
Agricoltura senza manodopera: il virus blocca gli stagionali
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