C’è un virus molto potente che si è addentrato nel mondo delle scuole paritarie: quello dell’ingiustizia. Che a settembre potrebbe portare alla chiusura di un istituto su tre, a livello nazionale.
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La situazione non si discosta per la nostra diocesi, dove il più alto numero di presenza di istituti riguarda la fascia 3-6 anni e parecchie scuole dell’infanzia sono nate all’interno di realtà parrocchiali, grazie alla felice intuizione dei loro fondatori, desiderosi di valorizzare la presenza dei piccoli per raggiungere le famiglie ed essere davvero chiesa che si fa prossima nel cammino della vita. Una battaglia nella battaglia, che già molte realtà vivono perché i bilanci sono ridotti all’osso, i contributi (promessi) non arrivano e lo Stato, che li dovrebbe sostenere – nel principio della sussidiarietà – non si decide ad applicare completamente una legge, incompiuta da vent’anni (la 62 del 2000). Non si tratta di contrapporre la scuola statale a quella paritaria, ma di far ripartire il Paese. E senza scuola l’Italia non riparte. Qui sta la verità. La crisi netta di questi giorni sta colpendo le famiglie, che non riescono a pagare la retta senza la quale non si possono pagare i docenti che stanno continuando a lavorare con la didattica a distanza. Molti, e da più parti, gli appelli. Anche perché, se saltassero le scuole paritarie, lo Stato non sarebbe in grado immediatamente di far fronte anche agli alunni che attualmente le frequentano. Ci sono scelte obbligate, o comunque altamente consigliate, che un governo e un Parlamento avveduto dovrebbero fare nelle attuali eccezionali circostanze. Ascoltino il grido d’allarme di tutti, genitori compresi.