Coronavirus, dalla terapia intensiva: “mi vuoi sposare…?” A 70 anni, chiama la compagna perchè diventi sua moglie

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“Mi vuoi sposare?” All’ospedale di Borgomanero, ancora in isolamento ma fuori dalla terapia intensiva, scrive un messaggio alla donna che gli è stata compagna per 15 anni ma che non era ancora diventata moglie. “Mi vuoi sposare … ?” Ha settant’anni Vittorio – chiamiamolo così – compiuti nel letto, intubato ma, dopo aver guardato in faccia la morte, decide che alcune cose della vita che aveva lasciato in sospeso vanno sistemate. “Mi vuoi sposare … ?” Se l’è vista brutta. Verso il 10 di febbraio, ha cominciato a sentire i sintomi dell’infezione. Roba di poco conto, all’inizio – sembrava – tanto da indurlo a pensare che avrebbe potuto cavarsela curandosi in casa. All’improvviso, di notte, un affanno sempre più pronunciato l’ha portato a chiamare il pronto soccorso che ha disposto il ricovero. Da quel momento – 16 febbraio – è cominciato un viaggio nella paura che, per qualche momento, è sembrato incubo. Il Coronavirus è un male bastardo perché – come tanti – arriva all’improvviso e ti mette a confronto con le tue fragilità ma – solo lui – ti isola e ti lascia solo. Non c’è nessuno che possa assisterti all’ospedale e, magari mentendo, nei momenti più drammatici, assicurarti che “tranquillo… andrà tutto bene”. C’è un rapporto mediato persino con il personale sanitario, imbozzolato in una specie di scafandro che nasconde forme ed espressioni. Ti toccano con le mani fasciate dai guanti: avverti la professionalità ma non ne senti il calore. Il sorriso dell’infermiere che potrebbe rincuorarti o l’assicurazione del medico che ti riempie di fiducia devono attraversare schermi, lenti d’occhialoni, tute di plastica rigida. Non sono la stessa cosa. Sei solo con i tuoi pensieri e il tempo che si dilata in minuti interminabili ti consente di passare in rassegna tutta la vita. Mettendo in conto anche quello che, per troppi motivi, non è stato fatto. Lui, Vittorio, a un matrimonio regolare con la sua compagna ci aveva anche pensato ma poi l’idea è rimasta lì appesa al niente. Non scartata, questo no, ma accantonata. Come se ci fossero, prima, delle cose più urgenti da realizzare. O piuttosto, nell’inconscia pretesa, che di tempo ce ne sarebbe stato ancora tanto e che, più in là, nel futuro, si sarebbe potuto provvedere anche a quello. La malattia racconta che, a volte, di tempo non ce n’è più. Per questo, uscito dal tunnel della rianimazione, accanto a pazienti come lui, sdraiati su quella sottile linea di demarcazione che separa la vita dalla morte, Vittorio decide che le sue cose le vuole sistemare. Un messaggio a casa dove da cinque settimane speranze e paure, sovrapponendosi avevano sospeso lo scandire delle giornate. “Mi vuoi sposare … ?” Dai momenti di difficoltà – come quello che si sta attraversando – esce il peggio della gente ma anche il meglio. Questo sembrerebbe proprio un esempio positivo tanto da incoraggiare la dottoressa Cristina Galli a darne atto su Facebook. “Nell’acquario di sudore in cui ci troviamo, tutti bardati e dove tutto suona (monitor, telefonici, ventilatori) dove fatichiamo anche a sentirci e quando ogni semplice movimento è faticoso…” ecco lì la notizia che un settantenne pensa a sposare la compagna è motivo di felicità. “Tutti noi – commenta infatti – ci troviamo a emozionarci per la sua gioia. Questo virus ci ha tolto tanto ma ci sta sbattendo in faccia i nostri sentimenti… Siamo ancora persone”.