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Impariamo a riscoprire il valore delle campane

«Senti, è la messa». L’immagine nella nostra mente va subito al paese di don Camillo, colpito dall’alluvione. E la gente, non appena sente il suono della campana, si inchina in segno di devozione. Quella storia, vista tante volte alla televisione, in questi giorni sta toccando ciascuno di noi. Dall’alto dei campanili, il loro “suonare”, in qualche maniera, ci avvicina a Dio, ci unisce al Paradiso, ci comunica che Lui non ci abbandona mai. Campane e campanili si riscoprono allora autentico incentivo di appartenenza di una collettività al territorio. E così anche nella nostra diocesi gaudenziana c’è chi ha scelto di vivere i riti della Settimana Santa e della Pasqua attraverso i campanili: il parroco di Omegna, ad esempio, ha fatto installare un autoparlante per poter raggiungere tutti gli abitanti della cittadina e trasmettere in filodiffusione la messa solenne; quello di Stresa ha deciso di accendere un faro la notte della veglia pasquale, quale segno di risurrezione.

E poi ci sono le campane, suonate con rintocchi e distesa, che in questo periodo di grande emergenza, stanno assumendo un ruolo di primo ordine e, ogni parrocchia, ogni Chiesa Cattedrale, le ha riscoperte quasi come fossero una voce che, dall’alto, annuncia che Gesù Cristo ci invita alla sua mensa e ad unirci spiritualmente con i nostri sacerdoti nella Celebrazione della Santa Messa. Forse, fino ad ora, non davamo tanta importanza al loro suono, perché esse ci annunciavano solo l’inizio della Messa, alla quale noi tranquillamente partecipavamo. Ma adesso è diverso: il suono della campana ci fa sentire vivi, ci fa sentire uniti anche nella quarantena, ci fa sperare che, quanto prima potremmo tornar di nuovo a stare insieme, in Chiesa, con Gesù e a ringraziarlo per aver ascoltato tutte le nostre preghiere in questo triste momento.

Paolo Usellini: