Nessun positivo alla Divina Provvidenza: «Abbiamo fatto subito il lockdown»

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Nessun positivo alla Divina provvidenza
Da sinistra Maria Caccia 106 anni, Maria Sesia 101 e Giuseppe Livio Migliavacca 100 con le operatrici Sfefania (coordinatrice di Struttura); Nanda - referente di Reparto Vanessa (Coordinatrice Infermieristica); Roberta (Infermiera); Silvia (referente di Reparto)
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Nessun caso di positività al Covid-19 alla Pia Casa Divina Provvidenza. In una fase dell’emergenza coronavirus in cui ad essere colpite in maniera durissima sono le residenze per anziani con dati drammatici sui decessi, la casa di riposo novarese è tra  quelle ad aver scampato il pericolo.

Con circa 190 ospiti, la Divina Provvidenza è una delle più grandi case di riposo del nostro territorio. A dirigerla è Alessandro De Agostini, che coordina uno staff di oltre 140 addetti e un nutrito gruppo – circa una cinquantina – di volontari che ogni giorno collaboravano alla cura degli anziani.  Nella struttura, ormai da quasi due mesi, è in vigore uno strettissimo lockdown. Tutto il personale utilizza rigorosamente mascherine e dispositivi di protezione, nessun familiare può venire a contatto con gli ospiti, i turni di servizio dei volontari sono stati sospesi e persino per i fornitori esterni sono stati decisi stretti protocolli di controllo.

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«Oggi possiamo dire che è stata la scelta giusta. Non è stato semplice – spiega -. All’inizio le informazioni dei mass media sulla pericolosità del virus non erano univoche e qualche famiglia aveva giudicato come eccessive queste misure». De Agostini ricorderà a lungo la mattina dell’8 marzo, quando ha deciso di “chiudere” agli esterni. «Dopo le disposizioni del Governo, mi sono mosso prestissimo per andare in ufficio. Ho telefonato direttamente dalla macchina per dare disposizioni di non permettere agli ospiti di venire direttamente a contatto con i familiari». A dare la portata della scelta, anche dal punto di vista organizzativo, sono proprio i numeri di quella giornata: a “mancare all’appello” nella struttura sono state circa 500 persone. «Nel giro di meno di 24 ore abbiamo dovuto ripensare l’organizzazione di una realtà dove l’apporto di volontari e familiari è importantissimo. Non solo per la cura concreta degli ospiti, ma anche per l’attenzione, la vicinanza e l’accompagnamento». Un impegno, anche psicologico, aumentato «per il quale vorrei dire un grande grazie ed esprimere tutta la mia stima professionale per ciascuno dei nostri operatori che non si sono mai tirati indietro: dagli infermieri e OSS sino ai cuochi e agli addetti alle pulizie».

Un clima reso possibile solo scegliendo la strada della condivisione delle decisioni, «perché condivisa da tutti è stata la priorità a tutelare la salute dei nostri anziani. Ed insieme quella degli operatori e delle loro famiglie».

Condivisione fatta anche con gli stessi ospiti, anche se la situazione è difficile: molti di loro sono completamente autosufficienti ed erano abituati ad uscire in autonomia, per altri la passeggiata era addirittura nel piano terapeutico. Nei primi giorni vedevano i familiari solo attraverso il vetro all’ingresso, poi è stato attivato un sistema di videochiamate. «Ma, in realtà, sono stati i primi a capire la scelta e a sostenerci tutti: familiari, infermieri e operatori. Sono persone che hanno tanta vita e tanta storia sulle spalle. E potranno continuare a insegnarci molto».