Da settimane, insieme ai suoi colleghi di laboratorio al Policlinico San Matteo di Pavia, è in prima linea nella lotta al Coronavirus.
Antonio Piralla, classe 1980, di Mergozzo, diplomatosi nel 1999 all’Istituto Cobianchi di Verbania, è uno tra i virologi italiani che, senza sosta, sta dando il suo contributo per debellare questa pandemia.
Il laboratorio pavese, dove è entrato per la prima volta nell’aprile 2002 mentre stava scrivendo la sua tesi di laurea, in queste settimane si è trasformato in una seconda casa per il giovane dottore mergozzese specializzato in Microbiologia. Come tutti i suoi colleghi del Policlinico, è in servizio giorno e notte per analisi e diagnostica.
Antonio Piralla – che nel 2015 ha ricevuto dall’Amministrazione comunale di Mergozzo il riconoscimento di “Mergozzese dell’anno” – ha messo in questo momento a disposizione la sua ormai lunga esperienza maturata sul campo, legata alla Virologia clinica e in particolare alle infezioni virali respiratorie.
Dottor Piralla, per dare un’idea in numeri, rispetto alla normale attività, in queste settimane come è cambiato il suo lavoro e quello dei suoi colleghi di laboratorio?
«Il lavoro è cambiato notevolmente. Per prima cosa abbiamo esteso l’attività a sette giorni su sette per ventiquattro ore. Per parlare invece di numeri, di solito, in una normale stagione influenzale noi analizziamo circa 30-40 campioni al giorno. Nel picco massimo del nostro laboratorio in questo momento siamo arrivati a circa 900 in una giornata. In un mese e mezzo di lavoro abbiamo analizzato campioni respiratori che di solito vediamo in dieci anni di lavoro».
Quale importante contributo ha dato e sta dando il vostro laboratorio in questo momento?
«Dover gestire un flusso di campioni così significativo è stato sicuramente il punto più complicato. Devo dire che in questo contesto tutto il personale dell’Unità operativa complessa di Microbiologia e Virologia ha dato dimostrazione della sua alta professionalità. Lo sforzo comune è stato ed è al massimo livello. Non sempre è stato facile dare risposte rapide, ma il sistema di collaborazione che c’è tra noi del laboratorio e i colleghi che operano nei reparti del Policlinico ha permesso di garantire un buon servizio di assistenza ai malati ricoverati.
Il nostro è anche un centro di Riferimento per cui stiamo portando avanti anche una serie di attività aggiuntive di enorme importanza che riguardano la validazione di metodi diagnostici rapidi e di metodiche utili per il tracciamento del virus e dei pazienti che risultano positivi».
Quali terapie state usando sui pazienti?
«Terapie specifiche non ce ne sono, ma si stanno provando alcune combinazioni di farmaci usati per altre infezioni, farmaci usati per altre patologie e come altra alternativa i plasmi dei pazienti guariti. In alcuni pazienti guariti la quantità di anticorpi presente può essere elevata e l’uso di questi plasmi come “farmaco” è una delle misure più rapide e veloci di intervento in queste situazioni. Queste procedure sono state adottate in passato per altre epidemie, come quella di Ebola in Africa o da virus aviario H5N1. I segni di speranza sono che alcuni farmaci sembrano funzionare nell’abbattimento della carica virale, ma è presto per dare i primi giudizi».
A livello personale cosa è cambiato dentro di lei?
«In questi giorni in tanti mi hanno posto questa domanda. Come ho già detto anche in altre occasioni, non mi sento un eroe. Io e tutti i miei colleghi siamo persone che hanno a cuore la salute delle persone. Sappiamo bene quale sia l’importanza del nostro lavoro in questo momento di emergenza e i turni, le ore e i giorni scivolano in secondo piano. Penso spesso a quante vite possiamo salvare, ma il pensiero e le mie preghiere inevitabilmente vanno anche a quelle che non superano la malattia. Alla fine, tutti quanti usciremo diversi da questa prova. Speriamo in meglio».