La vita del frontaliere ai tempi del Coronavirus

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Pubblichiamo un estratto dell’ampio servizio apparso sui nostri settimanali a pagina 12 e 13 (edizione di venerdì 20 marzo), dedicato al tema del frontalierato. Nel giornale sono proposti approfondimenti e interviste, tra cui due interventi di Enrico Borghi, parlamentare del Pd, e di Luca Caretti, delegato nazionale della Cisl per il frontalierato.

 

È ancora buio quando le prime macchine si mettono in colonna al valico di frontiera di Piaggio Valmara. Sono da poco passate le cinque del mattino e Gaia Zaccheo, come ogni giorno, dalla sua abitazione di Cannobio entra in Svizzera per raggiungere il posto di lavoro a Locarno.

Gaia, 25 anni, da un anno è impiegata nel settore ricettivo. È una dei circa settemila frontalieri che ogni giorno dal Verbano Cusio Ossola varcano i confini per motivi di lavoro in Ticino e nel Vallese. La routine è sempre la stessa. «La sveglia suona nella notte – racconta Gaia. – Il tempo di prepararsi e si sale in macchina, alla volta della frontiera, sperando che non vi siano troppi intoppi lungo il tragitto».

L’auto imbocca la Statale 34 del Lago Maggiore e si immette nel traffico che proviene da Verbania. «Solitamente, salvo qualche imprevisto per incidenti o cantieri, arrivo in perfetto orario sul posto di lavoro, per dare il cambio ai colleghi che hanno fatto il turno di notte», afferma Gaia.

Ora che si è in piena emergenza Coronavirus i tempi di percorrenza da Cannobio a Locarno si dilatano. «La coda in frontiera è all’ordine del giorno – prosegue Gaia. – Ci sono i controlli in entrata e quindi per raggiungere il posto di lavoro impiego anche un’ora e mezza, con il rischio di arrivare tardi». Il serpente di automezzi che si snoda lungo la litoranea in alcuni momenti è di diversi chilometri e la chiusura da parte elvetica del valico di Camedo con la Valle Vigezzo ha aumentato il traffico.

Finalmente, superato il controllo in dogana, si prosegue lungo la Strada cantonale 13 e si arriva a destinazione. «Oggi è stata l’ultima mattina – racconta Gaia. – Ci è stato, infatti, chiesto di fermarci a dormire qua in Svizzera, avendo ridotto il personale. Da domani niente coda, ma di contro non posso rientrare a casa».

In quella coda mattutina spesso c’è anche Gian Piero Sblendorio di Cannobio, che in Svizzera è da trent’anni che lavora nel settore dei servizi. «Per via del mio impiego – racconta – riesco a operare anche da casa e questo mi consente di evitare tutti i giorni la stessa trafila. Fino a pochi giorni fa, di fatto, vivevamo in due mondi diversi. Mentre in Italia già c’erano diverse restrizioni, in Svizzera non era così. Finalmente adesso anche oltreconfine hanno adottato lo stesso regime».

Gian Piero non nasconde le difficoltà che si incontrano nel lavorare come frontaliere, ma dall’altra parte «ringrazio tutti i giorni la Svizzera – afferma – per il lavoro che mi dà e per l’ambiente che trovo».

Altra frontiera, altre storie. Come quella di Marco Piralla di Mergozzo che ogni giorno da Domodossola prende il treno per andare a lavorare in un’azienda nel Vallese. Alle 5.58 la banchina del binario che porta a Briga è affollata di frontalieri, talmente tanti «che da qualche giorno ci hanno invitati a prendere anche una corsa successiva», racconta Marco. Dalle sue parole traspare tutto il rammarico per la condizione in cui si trova a lavorare. «Ci considerano extracomunitari – afferma – e siamo poco tutelati. Prima viene il guadagno e poi le persone. Forse tra qualche giorno chiudono per via dell’emergenza».

Viaggiando in treno, Marco ha ascoltato altre storie. «Come quella di un gruppo di ragazzi italiani – racconta – che lavoravano come stagionali a Zermatt in albergo. La struttura ha chiuso per via del Coronavirus e di punto in bianco li hanno mandati a casa. Alcuni di loro dovevano raggiungere Bolzano, altri le regioni del sud Italia».

Storie come quella di Gaia, Gian Piero e Marco sono all’ordine del giorno. Attorno ai frontalieri, soprattutto in questi giorni di emergenza sanitaria, la situazione è in continua evoluzione. «Seguiamo con attenzione quanto sta avvenendo – spiega Antonio Locatelli, coordinatore provinciale dei frontalieri – in particolare monitorando quelle situazioni dove ai frontalieri vengono richiesti ulteriori sacrifici. La scelta da parte della Svizzera di adottare provvedimenti restrittivi come in Italia era doverosa, anche se forse andava assunta prima».

Francesco Rossi