La Siria «è stata dimenticata, un intero popolo è stato abbandonato al fondamentalismo islamico». Ma a quasi otto anni dall’inizio della guerra, rimarca il patriarca siro-cattolico Mar Igniatus Yousef III Younan, «comincia a farsi strada una percezione diversa nelle cancellerie occidentali nei confronti del governo di Bashar al Assad» e del difficile cammino verso la democrazia dei popoli del Medio Oriente. Il presule siriano, 74 anni, a capo di una Chiesa unita a Roma dal 1662 con circa 160mila fedeli che fino al 2010 vivevano per metà in Medio Oriente (fra Iraq, Siria, Libano, Egitto, Giordania, Israele e Territori palestinesi, Turchia) e per metà negli Stati Uniti e in Canada, parla così della situazione in Iraq e in Siria ad un mese dalla visita del cardinale Pietro Parolin, durante la quale il segretario di Stato vaticano ha visitato Erbil, la città del Kurdistan che aveva accolto molti cristiani cacciati da Mosul dalle milizie dell’Isis, e le cittadine delle Piana di Ninive fra le quali Qaraqosh, dove circa 25mila siro-cattolici (erano 60mila nel 2014) sono potuti rientrare dopo esser stati costretti alla fuga dall’Isis nell’agosto 2014.
«A Qaraqosh abbiamo avviato la ricostruzione delle case, delle scuole, degli ospedali: c’è da riparare tutto – spiega – ed è difficile riavviare attività produttive per chi non ha un lavoro, soprattutto per chi aveva fattorie andate distrutte in questi anni. Attualmente lavorano gli impiegati governativi: questa è già una luce in fondo al tunnel, una speranza di futuro insieme alla presenza di preti e religiose che sono rientrati. Ad esempio le suore domenicane hanno riaperto una scuola materna con più di 520 bambini: finora sono state aiutate dalla Conferenza episcopale italiana, l’anno prossimo si cercherà di reintrodurre delle piccole rette per le famiglie. Per tutti è già un segnale di rinascita». Mentre si lavora alla sicurezza, il problema principale resta quello della difficile convivenza delle minoranze cristiane con i sunniti e sciiti, in Paesi nei quali i principi dell’uguaglianza dei cittadini e del rispetto del pluralismo religioso ed etnico faticano a farsi strada. «In Europa e in America si fa fatica a comprendere che non siamo minoranze etniche perseguitate ma membri delle primissime Chiese apostoliche nate insieme al Cristianesimo ancora prima dell’Europa, oggi minacciate nella nostra stessa esistenza. C’è bisogno di aiuti materiali per la ricostruzione, certo, ma la necessità primaria resta un’altra: è aiutarci a vivere nella libertà e dignità di cittadini uguali alla maggioranza, con gli stessi diritti e doveri. Solo così possiamo convincere la nostra gioventù a rimanere nelle nostre terre e a testimoniare Gesù in un ambiente così tumultuoso».
Invitato a fine ottobre 2018 ad un incontro con la Commissione esteri della Camera, il Patriarca ritiene che la percezione nei confronti del regime di Bashar al Assad stia cambiando: «ho notato una certa differenza rispetto agli anni scorsi – dice – quando gran parte dei parlamentari approvavano le sanzioni ad Assad e non capivano le nostre obiezioni. Oggi la percezione è cambiata, si inizia a capire quel che realmente è in gioco in Medio Oriente e come le sanzioni colpiscano la popolazione innocente senza riuscire a porre fine alla guerra e a stabilire la pacificazione dell’area».