Caruso: «Su armi dallo Stato troppa ipocrisia»

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Una «delle maggiori ipocrisie» nell’ambito della politica estera e di difesa europea è costituita dalla proprietà pubblica delle imprese produttrici di armamenti: come dimostra in Italia il fatto che la maggiore impresa produttrice di armi, la Leonardo, risulti al 51% di proprietà statale e che le maggiori potenze europee, in primis Francia e Germania, siano a capo di imprese pubbliche produttrici di armi. «Non possiamo sottacere le ambiguità per cui da una parte i nostri singoli Stati e l’Unione europea ufficialmente perseguono il bene pubblico globale della pace mentre dall’altra tendono a massimizzare i profitti delle vendite delle armi» rimarca senza mezzi termini Raul Caruso, docente di Politica economica all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e tra i massimi esperti dell’economia della pace, la branca che studia le cause e gli effetti dei conflitti sullo sviluppo delle nazioni.

Ben venga, dice lo studioso, il monito formulato nei giorni scorsi da padre Alex Zanotelli per la Giornata della pace: in tale occasione il missionario comboniano si era detto «sbalordito» dal silenzio dei cittadini italiani di fronte ad un governo giallo-verde che «ha accettato che gli Stati Uniti installino in Italia una settantina delle nuove bombe nucleari B61-12», «si rifiuta di firmare il Trattato ONU per l’abolizione degli ordigni nucleari e continua a vendere le bombe all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen in violazione della legge 185/90, che vieta la vendita di armi ai paesi in guerra».

«Padre Zanotelli ha ragione: c’è troppo silenzio su questi temi – rimarca Caruso – mentre come cittadini partecipi dovremmo essere assai più consapevoli che una parte del nostro contributo fiscale finanzia la produzione di armi, contribuendo a stimolare i conflitti, primo fra tutti quello in Yemen che è uno dei più efferati in corso nel mondo». Si pensi che, oltre al gruppo Leonardo (già Finmeccanica) e a Fincantieri, anche nel settore privato l’Italia è leader mondiale nell’export di armi leggere (pistole, mitragliette, fucili, mine anti-uomo). L’ambiguità degli Stati membri sulle esportazioni di armi è stata peraltro duramente criticata da una risoluzione del Parlamento europeo del 14 novembre 2018.

Giustificata per motivi di sicurezza nazionale, la proprietà pubblica delle imprese di armi sembra essere motivata attualmente dalla volontà dei governi di garantirsi una rendita finanziaria. «Questo però – rimarca Caruso – rende opachi e contraddittori gli indirizzi e gli obiettivi della politica estera: noi abbiamo varato nel ‘90 una delle normative all’epoca più avanzate sul divieto di vendere armi a paesi ufficialmente in guerra, come risulta ancora oggi l’India o diversi Stati del Medio Oriente. La vendita delle armi a quei paesi pone un grave paradosso: se sono le aziende di Stato a dettare gli obiettivi al governo e non il contrario, violando una legge varata da un Parlamento liberamente eletto, c’è un grave deficit di democrazia.  è urgente – chiosa – avviare un dibattitto sull’opportunità che, nel perseguimento della sicurezza, gli Stati che producono armi fondano aspetti delle imprese no-profit con altri di governance delle aziende finalizzate al profitto».