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Incontro con Marazzini e Bellomo al Circolo dei lettori – La bellezza della lingua italiana: un patrimonio da usare affinché sia salvato

Incontro con Marazzini e Bellomo

Incontro con Marazzini e Bellomo
Incontro con Marazzini e Bellomo
Incontro con Marazzini e Bellomo
Incontro con Marazzini e Bellomo
Incontro con Marazzini e Bellomo
Incontro con Marazzini e Bellomo
Incontro con Marazzini e Bellomo

Perché si mette l’accento su «sé» e non lo si mette più quando si scrive «se stesso»?  E’ proprio sbagliato il plurale “provincie”?  Ed è da stigmatizzare il complemento diretto in frasi tipo: «Incidente stradale causa nebbia», come fosse stato l’incidente stradale a causare la nebbia.

Sono alcune delle gustose osservazioni scaturite nel pomeriggio di giovedì 14 giugno al Circolo di lettori di Novara nell’incontro con Claudio Marazzini dialogante con Giorgio Bellomo, il primo presidente dell’Accademia della Crusca e docente di Storia della lingua all’Università del Piemonte orientale; il secondo docente di patologia clinica  ed ex preside della scuola di medicina.

«Sé stesso – ha spiegato Marazzini – per regola vuole l’accento, ma quasi tutti gli insegnati lo hanno ritenuto superfluo non essendoci possibilità di altra interpretazione. Al contrario “se” da solo può essere congiunzione condizionale senza accento (“se lo avessi saputo”, ndr) o pronome riflessivo con l’accento (“vedeva solo sé”, ndr).

Per regola il “sé” vuole sempre l’accento perché tonico, ma l’uso ha prevalso e si scrive “se stesso” per non dover sempre giustificarsi».

Peccato veniale dovuto al linguaggio giornalistico, soprattutto per comporre i titoli, la mancanza della “a” introduttiva del complemento indiretto: “Incidente stradale causa nebbia”, ma sarebbe meglio “Incidente stradale a causa della nebbia”.

E poi “provincie”: errore gravissimo. Ed invece no: nel XIX secolo venne costituita la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, grafica conservata così. Nella prima stesura della Costituzione italiana (entrata in vigore il 1° gennaio 1948), lo Stato veniva ordinato in Regioni e “Provincie”. Ed allora, dove sta l’inghippo?

Mazzarini: «Il motivo del plurale provincie è dovuto all’etimologia latina: se vi era la “i” e la si conservava. Ma ogni volta si sarebbe dovuto andare la ricercare l’etimologia latina per fare i plurali delle parole termine in “-cia”.

Allora, nel 1976, Aldo Gabrielli  uno dei più grandi linguisti italiani, pubblicò una serie di regole per dipanare una volta per tutte la questione dei plurali delle parole in -cia si è stabilita una regola: la i rimane se la c e la g sono precedute da vocale, cade se sono precedute da consonante: provincia, province;  ciliegia, ciliegie».

Inoltre, secondo il Dizionario Zingarelli del 2008 la forma plurale di provincia è province” perché la forma provincie è caduta completamente in disuso. Questa “nuova” regola risolve la questione dei plurali di -cia e -gia in con un approccio tonico. Considerando cioè dove cade l’accento della parola. Se l’accento cade proprio su quella “i” allora il plurale conserverà quella “i”, diversamente, al plurale la “i” sarà omessa. Anche secondo questa regola più moderna “provincia” al plurale si conferma province, in accordo con lo Zingarelli del 2008.

Articolo completo sull’Informatore e sull’Azione di venerdì 22 giugno

 

Gianni Cometti: