“Un paese di povere case, una terra di lavoro intrisa, una chiesa a festa vestita risplende dell’opera sua”. E’ la seconda strofa dell’inno dedicato a don Pietro Antonio Migliacca, scritto dal Vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla per la celebrazione del bicentenario della morte di questo importante parroco, svolta nella serata di sabato 14 aprile a Massiola. Questo piccolo comune, l’ultimo dei quattro che si incontrano salendo in Valle Strona non è più “paese di povere case” ma un ameno borgo adagiato a 775 metri di altezza, dove gradini ripidi e strette viuzze permettono i collegamenti tra le case, abitate da poco più di 130 abitanti.
Il vescovo Brambilla non era mai stato qui; l’ha visitato su invito del parroco, don Gaudenzio Martini e anche di don Massimo Martinoli, parroco di Cameri massiolese di origini, che ha anche ha composto la musica di un inno, le cui parole sono state scritte dal vescovo, immaginando a occhi chiusi la vita di un grande pastore. Ad accoglierlo c’erano le donne in costume, la filarmonica “L’Alpino”, diretta da Giovanni Cerutti, che ha creato l’arrangiamento musicale dell’inno per la banda, e il coro della collegiata Sant’Ambrogio di Omegna. La cerimonia è stata anticipata dalla processione congiunta di due cortei, provenienti rispettivamente da sud (chiesa di San Giuseppe) e nord (Madonna Addolorata) a cui si sono uniti, a piedi, gli abitanti di Forno (l’ultimo paese abitato della valle) come pure da Inuggio, frazione di Valstrona.
Il vescovo, assieme ai parroci e alle autorità locali, ha atteso nella chiesa di Santa Marta, posta nel punto di congiunzione, per salire insieme lungo un percorso “trapuntato” di lumini, messi negli incavi del muro in sasso che sale sino alla parrocchiale.
Prima dell’entrata, il vescovo di Novara, ha impartito la benedizione a una pianta di Corniolo Giapponese, messa a dimora per l’occasione. “E’ sorprendente come la memoria di questo prete, nato il 23 dicembre del 1746 mancato il 16 aprile 1818, per ben 36 anni parroco in questa realtà, sia rimasta intatta per 200 anni- ha detto il Vescovo. Non è mai partita una causa di beatificazione ma questo poco importa. Io mi chiedo: chissà se ce la farei a essere come lui?”. Poi, citando la nuova esortazione apostolica pubblicata durante la settimana da Papa Francesco “Gaudenti et Exultate”, ha aggiunto: “Il Papa offre un grande affresco della santità del quotidiano che ha avuto grandi patroni come questo sacerdote che, forse, non sarà mai riconosciuto come santo. Ma il paradiso è pieno di coloro che non hanno riconoscimenti ufficiali e sono nel cuore di molte persone”.
E per i massiolesi, don Migliacca è praticamente un santo. La sua morte dovuta ad epidemia di tifo petecchiale lo portò a compiere un voto e una promessa; dopo la sua morte più nessuno sarebbe morto per causa di epidemie. I dati, snocciolati da Lino Cerutti, storico originario di Sambughetto, il piccolo paese dirimpettaio a Massiola, dicono di più. “Don Migliacca curò gli abitanti casa per casa, senza realizzare nessun lazzeretto, contrariamente alle divulgazioni popolari. La sua devozione inoltre ha un appendice nel dopo guerra. A Massiola non vi fu nessun morto. Si narra che un comandante avesse intenzione di bruciare il paese perché pieno di ribelli. Ma a un certo punto vi fu qualcosa, una forza che la gente attribuì alla mano del sacerdote, che glielo impedì.
La devozione del paese non si fermò nemmeno per la custodia delle spoglie come aggiunge Cerutti: “Un ordinanza del 1915 diceva che i resti mortali, riesumati dal vecchio cimitero, fossero messi nella fosse comune. Pare che il sacrestano trovate le ossa con il cranio, con il cappello del parroco, le rubò per tumularle nella cappella del Sacro Cuore nella parrocchiale, dove vi sono ancora oggi”. Don Gian Mario Lanfranchini, parroco di Omegna, nel ringraziare il comitato organizzativo per il grande lavoro svolto, ha sottolineato l’attualità di don Migliacca: “La sua figura deve e può parlare anche a noi preti, oggi. E’ stato un icona di Cristo che ha saputo vivere e affrontare con lo spirito del vangelo le sfide e le fatiche e ha dato la sua vita per la sua gente. I preti devono stare in mezzo alla gente e per la gente”.