“Nabucco” al teatro Coccia di Novara: riuscitissima la “prima”

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Nabucco al Coccia di Novara
Un momento della "prima" al Coccia di Novara Foto Finotti
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Nabucco è la terza opera di Verdi, data alla Scala nel 1842, con Giuseppina Strepponi, futura moglie del maestro, nella parte di Abigaille. Il successo fu enorme, anche se poi seguiranno gli “anni di galera”.

L’opera è divisa in quattro atti, che sono poi quattro situazioni distinte, dove giganteggiano i grandi temi corali, significativi delle vicende di popoli e di fedi: l’oppressore e il vinto, gli Assiri e gli Ebrei. Non si tratta solo del famoso “Va pensiero”, che qualche bello spirito avrebbe voluto come inno nazionale (pur con le torri atterrate e una patria sì bella e perduta), ma anche de “Gli arredi festivi” (che cadono infranti, con fanciulle che levano al cielo le supplici braccia), e del “S’appressan gl’ istanti d’un’ ira fatale”. Masse corale che cantano con una dignità che raramente si troverà nelle opere successive, e che sono state rese splendidamente dal Coro San Gregorio Magno, la sera del 23 febbraio. Si è detto e scritto sul Nabucco e su Verdi (fortunata la coincidenza tra messinscena  e l’uscita nazionale del libro su Verdi del noto critico Alberto Mattioli che ha fatto una riflessione meno scontata sul Nabucco), che rimane comunque l’operista che scalda i cuori agli italiani.

Lo si è sentito anche alla “prima” di venerdì al Coccia del riuscitissimo lavoro di Pizzi: applausi scroscianti alla fine di ogni pezzo, a sottolineare in particolare le molto belle esecuzioni di Amartuvshin Enkhbat (Nabucco), Marko Mimica (Zaccaria), Rebeka Lokar (una magnifica Abigaille) e Daniele Cusari (Gran Sacerdote di Belo), ma molto bene anche gli altri. La direzione dell’Orchestra del Teatro Coccia (in collaborazione con il Conservatorio Guido Cantelli), era affidata a Gianna Fratta, cui vai il non piccolo merito di aver levato quella impressione di musica per banda che viene associata alla prima musica verdiana, e di aver fatto sì che l’orchestra non sovrastasse mai le voci. Sapiente la regia di Pier Luigi Pizzi, presenza costante nei più importanti teatri e festival del mondo. Stranamente alla fine applausi lunghi ma non un’ovazione di pubblico: ci saremmo aspettato di più.