L’origine del Carnevale oleggese si perde nella notte dei tempi ma già le testimonianze inserite nelle “Memorie di Oleggio” scritte nei primi decenni dell’800 dall’arciprete don Bernardino Zoppis forniscono una precisa descrizione delle usanze. La settimana grassa dava luogo a numerosi festini che venivano svolti nelle cascine frazionali. Era usanza che i giovani si recassero di luogo in luogo a tó i tré báli (chiedere i tre balli),che avevano luogo nelle cucine con improvvisate orchestrine. Gruppi di ragazzi mascherati giravano di cascina in cascina, ed essendo ben nota la rivalità non solo tra paesi limitrofi ma anche tra gli stessi abitanti del centro storico e quelli delle frazioni, ogni gruppo mascherato era capitanato da un ragazzo più aitante degli altri al bataštrá, che fungeva da apri strada e che si dotava di un bastone, pronto per essere utilizzato quando la situazione poteva incrinarsi. Giunti a destinazione e solo dopo un lungo cerimoniale, i balli avevano inizio. A partire dalla fine dell’Ottocento si svilupparono le prime sale da ballo che pian piano andarono a sostituire gli antichi festini: si ballava il sabato sera (sabát gras), il lunedì (al lunzón) e il martedì grasso. Prima della costruzione del Teatro Civico negli anni ’30 del Novecento, i balli venivano svolti presso il ‘Teatro Verdi’ di Villa Troillet e la ‘Garibaldina’ (attuale Bar Dinamo) considerata la sala da ballo popolare. Dopo la guerra e con la rinascita del Carnevale oleggese nel 1951, i balli vennero svolti solo alla Garibaldina e al Teatro Comunale senza più distinzione di classe o ceto di appartenenza e con l’inizio delle sfilate dei carri allegorici. La rivalità era grande e si cercava di primeggiare: «negli anni ‘50 in frazione S.Giovanni – spiega Jacopo Colombo, direttore del Museo di Oleggio – diverse famiglie si riunirono in una stalla, come ogni anno, per la creazione del carro. Decisero di creare il Farinata degli Uberti con un grande diavolo come fulcro. La passione e la voglia di vincere il premio come miglior carro erano tali che non si resero conto della dimensioni raggiunte dal diavolo finché non dovettero portarlo fuori: la porta era troppo bassa e il carro non sarebbe mai uscito. Decisero di abbattere l’ingresso della stalla». Il giovedì grasso, invece, i bambini si divertivano con il tradizionale mignà mignà chicülin, la cui origine è incerta anche se potrebbe derivare dal miagolio insistente del gatto nell’atto di chiedere qualcosa. I ragazzi si recavano di casa in casa in cerca di regalini, recitando un’antica filastrocca ancora oggi ripetuta dai bambini. Il martedì grasso, nella piazza centrale, persone in maschera e gruppi si esibivano e le macchiette locali apostrofavano con spettacoli comici le autorità locali. Alla sera gli oleggesi si riunivano in piazza dove la Banda comunale suonava la canzone del Carnivè e la Nivla, mentre bruciavano ramaglie rappresentanti il Re Carnevale. L’ultimo ballo concludeva i festeggiamenti carnevaleschi mentre i rintocchi del campanile di Piazza a mezzanotte, annunciavano l’inizio della Quaresima.
Oleggio, memoria e storie del Carnevale
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