Un rapporto multidimensionale e, quasi multisensoriale, reciproco e profondo e non estin- guibile, anche se nato da quello che si potrebbe definire un episodio. È questo quello che è emerso dal convegno a due voci, organizzato dall’Ufficio scolastico regionale per il Piemonte Ambito territoriale di Novara e al quale hanno partecipato il diret- tore del Museo degli Uffizi Eike Schmidt ed il vescovo di Novara mons. Franco Giulio Brambilla su “Arte e fede”.
L’incontro (tenutosi all’aula magna dell’Università) ha affrontato il complesso vincolo tra due aspetti del sentire umano «che sarebbe potuto anche non essere – ha detto il Vescovo – se al concilio di Nicea non fosse passata la linea, per nulla scontata, di chi accettava l’uso delle immagini nel contesto delle pratiche di culto». Da allora fede e arte hanno pro- seguito un cammino comune in cui l’arte traduceva «su un piano figurativo – ha aggiunto mons Brambilla portando ad come esempio l’incredulità di san Tommaso di Caravaggio – quel che la Scrittura racconta. Questo è stato fatto lungo tutto il corso della storia, con continuità, usando differen ti linguaggi».
Il rapporto tra fede e arte è stato sottolineato anche da Schmidt: «la quasi totalità delle opere degli uffizi nostre opere nasce per il culto. E anche quel abbiamo di non religioso, come le rappresentazioni profane di Botticelli, vien architettato figurativamente modulando il canone estetico derivato dalle rappresentazioni sacre».
Del resto l’arte è ispirazione che nasce dall’animo, come la fede, e questo permette di creare gran- di opere, una opinione espressa da Wilhelm Heinrich Wackenroder, scrittore di epoca roman- tica citato da Schmidt, che ammira l’arte che deriva dal sentimento e non dalla razionalità. «Nello stesso tempo – ha detto ancora lo storico – l’arte ispirata dalla fede è un fattore di dialogo tra differenti culture e differenti credo religiosi, come dimostra il pubblico che viene al nostro museo».
Mons Brambilla ha anche parlato della rilevanza del contesto per cui l’arte è stata creata per comprendere pienamente il suo fine teologico e didattico, usando come esempio la parete Gaudenziana di Varallo: «dove – ha detto il vescovo – il pulpito, quindi la parola, precede la raffigurazione e dietro al quale c’è l’altare, quindi il sacramento. Oggi questi aspetti, con la collocazione in museo delle opere, sono scissi, ma si tratta di un aspetto che ribadisce la simbiosi tra arte e fede»
Mons. Brambilla ha spiegato ai ragazzi presenti la finalità dell’opera: «una sorta di guida – ha detto – a quel che i pellegrini avrebbero visto salendo al Sacro Monte. Una Cappella Sistina del Nord Italia, come la definì Giovanni Paolo II in visita nelle nostre terre». Schmidt ha manifestato una buona conoscenza della parete e di condividere le opinioni di mons. Brambilla, le finalità e l’ispirazione artistica del Ferrari «che con la sua opera – ha detto mostrando alcune delle figure dipinte dall’artista Valsesiano – conosce i grandi fiamminghi».
Il vescovo ha infine donato a Schmidt il libro “La parete gaudenziana di Santa Maria delle Grazie di Varallo”, da lui commentato e contente immagini ad altissima risoluzione.