Qui di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’intervista al Parroco della basilica della Natività di Betlemme, fra Marwan Di’Des. L’articolo è apparso sul nostro giornale nell’ultimo numero andato in edicola prima di Natale.
Dopo la decisione del presidente Usa Donald Trump su Gerusalemme si è decisamente smorzato il tradizionale clima di festa che a Natale contraddistingue la città in cui è nato Gesù: «c’è un’aria di incertezza, sospesa tra il dolore per gli scontri e la voglia di normalità» dice il 43enne parroco della basilica della Natività di Betlemme, fra Marwan Di’Des, in un colloquio con il nostro settimanale nei giorni in cui fervono i preparativi nel luogo sul quale sono puntati gli sguardi del mondo per la Messa di mezzanotte.
Padre Marwan, quale clima si respira a Betlemme dopo gli scontri dei giorni scorsi?
C’è un’atmosfera molto strana quest’anno. C’è un’aria sospesa tra il dolore per i gravi incidenti dopo la decisione di Trump che di fatto riconosce Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico e la stanchezza per il conflitto. Negli anni scorsi sia a Betlemme che a Gerusalemme c’erano o grandi difficoltà o un clima di festa per l’arrivo di tanti pellegrini. Quest’anno c’è un grigio stranissimo, perché la gente non ha voglia di festeggiare e di fare grandi celebrazioni, ma allo stesso tempo è stanca di sofferenze e privazioni che a quanto pare non hanno fine… Quel che è certo è che i concerti e gli eventi pubblici sono stati cancellati: abbiamo preservato il clima di festa per i bambini, nella festa organizzata al Terra Sancta College per gli alunni della Materna e delle Elementari, ma viviamo l’incertezza per quello che può accadere nelle strade. Con il dolore nel cuore constatiamo come siano soprattutto i giovani a patire maggiormente per gli errori dei nostri politici: la preoccupazione è soprattutto per il coinvolgimento dei più giovani nelle proteste
Nel 1948 circa l’85% della popolazione di Betlemme era formata da cristiani. Oggi quanti sono? In tutta la Terra Santa rappresentiamo ormai meno dell’1% della popolazione: con dolore nel cuore constatiamo di essere ormai gli ultimi superstiti della Chiesa madre di Terra Santa. La parrocchia latina di Santa Caterina ha oggi circa 5000 fedeli cattolici: fanno parte di circa 12mila cristiani su una popolazione di 40mila persone, compresi i rifugiati nei campi profughi. Siamo pochi, certo, ma con una missione insostituibile: rimanere qui, testimoniare fino alle estreme conseguenze la presenza cristiana nella terra che Paolo VI chiamava il Quinto Vangelo. La nostra missione è proprio la conservazione della presenza cristiana nella terra che ha visto la nascita, la vita, la Passione e la Resurrezione di Gesù.
Qual è oggi la situazione della minoranza cristiana? Come riuscite a conciliare l’annuncio con il conflitto e l’incertezza sul futuro? La Chiesa qui è sorgente spirituale e agenzia sociale: cerchiamo di educare tutti a vivere la Bibbia in maniera pratica, con la fratellanza, la tolleranza, l’accettazione dell’altro. Se non accolgo il diverso da me, che Parola vivo? Noi abbiamo questa opportunità forse più forte degli altri di poter vivere la coerenza con i valori biblici: un’occasione di vivere la Bibbia nella concretezza. Nella nostra azione pastorale lavoriamo molto sulla qualità dei cristiani, sull’identità cristiana in un contesto tormentato da un conflitto, e sui valori evangelici da incarnare con l’israeliano ebreo e con l’arabo musulmano, così come con gli altri cristiani, proprio perché non ci consideriamo custodi di un museo ma pietre vive di un edificio insostituibile per la Chiesa universale. La missione in Terra Santa va oltre l’annuncio del Vangelo e si fa anche attraverso le opere, dalle scuole alle tante attività con Azione cattolica, con gli scout, con le famiglie.
In che modo le nostre Chiese possono aiutare la comunità della Chiesa madre di Gerusalemme? Nel 2017 abbiamo avuto 3 milioni di pellegrini da tutto il mondo: è chiaro che il turismo qui è fondamentale, soprattutto per dare speranza alle nostre famiglie cristiane che vivono la tentazione di emigrare, a causa del protrarsi del conflitto e dell’incertezza sul futuro dei figli. Quando i pellegrini arrivano, rinfrescano per così dire tutte le nostre comunità. Anche da questo punto la decisione di Trump è stata nefasta: avevamo tutti gli alberghi prenotati fino a fine gennaio, ora la metà delle prenotazioni è stata cancellata. La nostra speranza è basata sulla fede, e si nutre oltre che dalla Parola anche dal sostegno che continua ad arrivare dalle altre Chiese, che non hanno mai cessato i pellegrinaggi: la nostra gente attende i pellegrini, anche come gesto di condivisione e di solidarietà.