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Centro di ascolto Caritas di Varallo Sesia, messa in scena del progetto “Raccontami”

Spettacolo messo in scena dalla Compagnia della Civetta

«Sono sempre stato un giocatore. Nel ‘95 mio padre è morto ed è stato l’inizio della mia rovina: ho dilapidato in pochi anni l’intera eredità» racconta “Enne”, ritratto in scena a piedi nudi sotto giacca e jeans. Poco dopo “Effe” ricorda la fuga dal suo villaggio in Africa: «La verità è che io non ho pagato per venire in Italia. Dopo un anno in carcere in Libia un giorno mi hanno preso, mi hanno spinto sul barcone, io non volevo salire. Il motore è andato in avaria dopo poche ore, siamo stati fermi dalle 10 alle 17, poi è arrivata la Guardia costiera: ringrazio l’Italia che mi ha salvato la vita». E’ poi la volta di “Ti”: «La mia schizofrenia è comparsa nel ‘99, dopo un anno che non uscivo di casa: oggi sto meglio perchè, anche se so che non si può guarire, ho accettato la mia malattia».

Sono storie vere di resilienza, di rinascita dopo rovesci di ogni tipo quelli che nove persone in situazioni difficili che frequentano il Centro di ascolto Caritas di Varallo Sesia e le volontarie che le hanno accompagnate hanno regalato domenica sera al pubblico di “Una stanza per sè”, ovvero la messa in scena del progetto “Raccontami”. Una serata di rara intensità sulla forza della vita e sul potere terapeutico del raccontarsi: sugli effetti che può avere l’ascolto attento e non giudicante, e sull’autonarrazione come spazio di rielaborazione e dunque di distacco dal proprio passato doloroso. Un progetto fortemente voluto dal Centro di ascolto e accolto con entusiasmo dai protagonisti che sotto l’anonimato hanno accettato di raccontare la propria storia di fragilità.

L’iniziativa è stata sostenuta con un finanziamento di 4.000 euro dei fondi dell’Otto per mille della diocesi e restituito alla comunità civica di Varallo Sesia grazie all’impegno dei giovani della Compagnia della civetta sotto la regia di Andrea Piazza. «L’idea è nata da una riflessione sull’importanza di valorizzare le storie di vita delle persone specialmente per chi aveva le risorse per trarre benefici da questa narrazione» spiega Barbara Calaba, volontaria Caritas dal 2011 ma soprattutto pedagogista e mediatrice familiare esperta in metodologie autobiografiche come docente alla Libera università dell’Autobiografia di Anghiari (Arezzo). Così è nata la raccolta delle nove storie fra un giovane disabile, immigrati, malati psichici e di cancro, vittime di violenze. «Raccogliere queste storie significa fermarle – aggiunge – e dare un senso positivo alle sofferenze vissute». Come si vede dalla fulminante conclusione di uno dei racconti: «La mia storia è un testamento, per ringraziare chi mi ha aiutato nella prigione della mia pazzia, e chiedere perdono a quanti ho danneggiato».

Manuela Borraccino: