Si sta di recente sviluppando il concetto di ‘medicina narrativa’, definita nell’Enciclopedia Treccani come: «Metodologia che stimola la narrazione, da parte del paziente, del proprio stato di malattia, nell’intento di dare senso e quindi sollievo alla sofferenza […]». Karen Blixen diceva che tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi. Il poter parlare di sé in modo autobiografico è terapeutico per diverse ragioni. Il ripercorrere il proprio passato evidenziando aspetti che di esso si ricordano come positivi o negativi aiuta a prendere consapevolezza di ciò che influenza la propria felicità. La presa di coscienza di sé si acquisisce attraverso uno sguardo critico sulla propria vita.
Attraverso l’autobiografia emergono aspetti su cui vogliamo che il nostro interlocutore ponga attenzione. Secondo Michel Foucault (1926-1984), l’autobiografia è un modo di sottolineare la nostra identità in un mondo che tende all’omologazione sociale. L’autobiografia è anche un genere letterario che affonda le radici nella letteratura latina e cristiana. Sant’Agostino (354-430), nelle Confessioni, racconta a Dio la storia della sua conversione. Si può essere autobiografici dedicando la propria prosa a un autore immaginario. Ma l’espressione della propria vita assume valore catartico quando ci si confronta con un interlocutore che ascolta e ci consiglia. Narrativa e ascolto sono, dunque, strumenti per conoscersi, conoscere e farci riconoscere. Buona settimana!