Souha ha 15 anni, è nata da genitori tunisini, papà Laid e mamma Saida, in Italia e qui vive da sempre. Da grande vuole fare il medico e si sente, come precisa con orgoglio, «italiana». Ha amici di ogni Paese, frequenta lo scientifico Pascal, al sabato va alla scuola di Pace della Comunità di S. Egidio, dove aiuta i ragazzi più piccoli, ama ballare. «Sono italiana – dice, anche se ancora non lo è e, con l’attuale norma, dovrà ancora aspettare 3 anni prima di poter richiedere la cittadinanza – Non ho nulla di tunisino, anche se conosco le mie origini. Non mi sento come loro: non mi piace la rigidità che hanno. Se indosso un jeans strappato, sono vista male, se esco con un compagno di classe, diventa il mio fidanzato. Mi sento italiana perché qui che voglio crescere e vivere».
Souha ama il rap di Capo Plaza, rapper salernitano, ma anche di artisti della terra di mamma e papà, come Ghali, giovane cresciuto nel Milanese da genitori tunisini e Master Sina, altro rapper tunisino, che nei suoi brani, in italiano e arabo, narra la quotidianità delle giovani generazioni di origine nordafricana. Souha ha tre sorelle e un fratello. Sono Mohammed Amin, 13 anni, Takwa di 10, Soujoud di 6 ed Elif, di soli 2 anni. Anche Mohammed si sente italiano, da grande vuole fare il calciatore, tifa Juve e i suoi campioni preferiti sono Dybala, Mandzukic, Higuain e Cuadrado. Fa la terza media al Bellini di via Vallauri e ha tanti amici. Anche lui vuole restare in Italia. In verità è cittadino del mondo: «Voglio finire le superiori qui – dice – e poi fare l’università sportiva in Spagna». Qualora diventasse un calciatore famoso, però, pare indeciso per quale nazionale giocare: «Tunisia o Italia?». «Non saprei», risponde titubante. Le altre due sorelline frequentano la Don Ponzetto e poi c’è Elif. I più grandi, come riferisce Paola Capobianco di S. Egidio, «frequentano la scuola della Pace. Tra qualche anno arriverà anche la piccolina». Racconti che indicano come lo Ius Soli, per questi bimbi nati e cresciuti in Italia, sia un fatto naturale. Laid Gharbi, il papà: «Sono giunto in Italia senza documenti nel ‘96, li ho avuti nel ‘99, poi ho sposato Saida e qui sono nati i nostri figli. Non sono cittadino italiano. Mi sono informato in passato, ma c’era una procedura lunga. Ho la carta di soggiorno a tempo indeterminato, ma per me non è più importante. Lo è per i nostri figli, che si sentono italiani. E’ una legge positiva e naturale. Una legge che – ha aggiunto con Saida – aspettiamo da tempo». E’ lo stesso pensiero di Fofana Kadidjatou, giovane della Costa d’Avorio in attesa del secondo bimbo. «Il mio primo pensiero – dice – è che il mio piccolo stia bene (la mamma ha avuto un problema, per cui è stata trasferita al nosocomio novarese, ndr). Ho un figlio di 2 anni, che si sente italiano. Sono in Italia da 5 anni. E’ strano – evidenzia – che mio figlio che è nato qui non abbia la nazionalità italiana: ne ha diritto più di me. Nel mio Paese, se tu italiana partorisci lì, il bimbo avrà subito la cittadinanza ivoriana». Ibtissam Hasri, 32 anni, del Marocco, italiana: «ovunque nasci, devi avere la cittadinanza di quel luogo. Per i ragazzi che studiano qui, come ho fatto io, ci sono mille difficoltà in assenza della cittadinanza, anche per fare uno stage. Lo ius soli favorirebbe l’integrazione». Monica Curino